Addio a Renato Pallavicini, giornalista che difendeva i fumetti quando non erano di moda
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Addio a Renato Pallavicini, giornalista che difendeva i fumetti quando non erano di moda

Se n'è andato a 74 anni il giornalista a lungo redattore culturale de l'Unità. Un professionista garbato e colto, di formazione architetto

Addio a Renato Pallavicini, giornalista che difendeva i fumetti quando non erano di moda
Renato Pallavicini all’Opera di Roma nel 2018 per un “Flauto magico” di Mozart con la regia di Barrie Kosky e Suzanne Andrade in un suo post su Facebook che titolò “Se Pappageno è Buster Keaton”
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Stefano Miliani Modifica articolo

25 Aprile 2022 - 18.39


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Aveva il garbo e la pacatezza delle persone colte, forse interpretava il garbo e la capacità di riflettere di un’epoca che sta sfiorendo. Se n’è andato a 74 anni Renato Pallavicini, giornalista culturale nella redazione nazionale del quotidiano l’Unità fino alla penultima chiusura del 2014. Di formazione architetto, era uno studioso attento e sensibile di fumetti e al cinema d’animazione in tempi in cui queste forme dell’industria culturale non beneficiavano ancora dei riconoscimenti che la cultura e i media oggi tributano all’arte delle storie disegnate e dei racconti per immagini.
Nato a Savona nel 1948, un lungo male lo ha condotto alla fine. Viveva a Roma. Lascia l’amata moglie, Anna Milaneschi, valente e attenta storica dell’arte già in servizio presso il ministero allora dei beni culturali, oggi della cultura.

Pallavicini era una persona anzi tutto curiosa, con una vena di sottile ironia, scriveva in modo puntuale e coinvolgente, non coltivava pregiudizi né altezzosità verso forme culturali un tempo ritenute “minori” o, da molti, troppo “popolari”: al contrario ne rivendicava l’importanza, il ruolo sociale, perché le comprendeva, le capiva, oltre a saper apprezzare la qualità artistica di artisti come un Crepax o un Moebius o un Enki Bikal, oltre ad amare le narrazioni edite da Bonelli di Tex, Martin Mystere, Dylan Dog, tanto per dirne alcuni …

In redazione capitava di sentirlo sbottare in mezzo a libri e albi: difendeva non tanto il proprio sguardo quanto la necessità di valutare come meritavano e meritano i fumetti e il cinema d’animazione. Oggi anche i principali quotidiani e riviste vi dedicano copertine e ampie paginate, prima non crediate che fosse così, era difficile per il fumetto trovare spazio. A l’Unità accadeva, anche per merito di direttori illuminati, tipo un Walter Veltroni negli anni ’90 o un Furio Colombo insieme ad Antonio Padellaro all’alba di questo millennio. Un giornalista come Pallavicini, che svolgeva il suo compito di redattore culturale a tutto campo spettacoli compresi, era prezioso.

Pallavicini aveva conservato un’anima “bambina”, una dote che troppi adulti smarriscono. Si appassionava se un film d’animazione era ben fatto, si risentiva se era banale. Il suo sguardo era rivolto anche oltre confine, non si fermava certo a Chiasso peccando di provincialismo come avrebbe detto un tempo Arbasino. E nel suo sguardo riversava la capacità di analisi di chi aveva studiato architettura, di chi sapeva analizzare la costruzione delle immagini: da giornalista scriveva di architetti, grandi o meno grandi che fossero, attingendo a più saperi, dal cinema alla letteratura, perché aveva un bagaglio culturale molto solido e ricco. Leggeva i progetti architettonici, fossero un Vittorio Gregotti o un Mario Botta o una Gae Aulenti, nel tessuto urbanistico, immersi nella vita concreta, cittadina, non come astrazioni pure.

Renato Pallavicini era una persona dolce, un redattore preciso che rispettava gli altri, qualunque posto avessero. Divenne redattore-cronista dopo aver iniziato come grafico. Un percorso di formazione di cui aveva fatto tesoro. Oltre ad aver lavorato a l’Unità che considerava la sua casa, ha collaborato a testate di carta e online come il Tascabile, Strisciarossa, BookCiakMagazine, Fumo di China, Fumetto (Anafi), Fumettologica e BookCiakMagazine. Mancherà molto a chi lo ha conosciuto, anche solo per qualche occasione fugace di lavoro.

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