Philip Kerr in Argentina
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Philip Kerr in Argentina

L’amico Carlos Michelutti, maestro liutaio argentino di chiare origini italiane, non manca mai di ripeterlo con un’ombra di stizza quando finiamo per intavolare una discussione politica. E

Philip Kerr in Argentina
Philip Kerr
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11 Marzo 2024 - 00.12


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di Rock Reynolds

L’amico Carlos Michelutti, maestro liutaio argentino di chiare origini italiane, non manca mai di ripeterlo con un’ombra di stizza quando finiamo per intavolare una discussione politica. E succede quasi immancabilmente che su quell’argomento finisca per convergere la nostra discussione, mentre Carlos lavora accanto a una delle mie chitarre. «Lo dico sempre anche ai miei conterranei quando parlano male di Juan Domingo Perón: il suo è stato l’unico governo autenticamente socialista in Argentina dal dopoguerra a oggi.

C’è chi pensa che sia stato un bieco restauratore, eppure gli americani lo hanno sempre guardato con sospetto e questo vorrà pur dire qualcosa. Sua moglie Evita era considerata una donna di sinistra, vicina al popolo e alle sue rivendicazioni, e lui ha dato un sistema sanitario pubblico al paese e un’istruzione gratuita a tutti i cittadini. Oggi abbiamo Javier Milei e la sua vittoria deve far riflettere: il successo elettorale del suo populismo è figlio dei gravi errori della giunta precedente.»

Eppure, Perón non esce particolarmente bene dal romanzo A fuoco lento (Fazi Editore, traduzione di Luca Merlini, pagg 465, euro 17), ennesimo capitolo della saga dello scozzese Philip Kerr, inizialmente intitolata “Trilogia Berlinese”, inaugurata da Violette di marzo. Ma perché Perón e perché la sua Argentina? Che c’entrano con la Germania nazista in cui si svolgono le storie di Kerr? La risposta non è di quelle che richiedano lo Sherlock Holmes di turno, anche se la vicenda che si dipana tra le pagine di questo splendido romanzo contiene svariati enigmi. Di certo, non c’è il minimo mistero sulla destinazione di numerosi criminali di guerra nazisti dopo la fine del regime: l’America latina – Argentina, Paraguay e Cile in testa – diede rifugio senza alcun problema ad alcuni dei peggiori reprobi del regime nazista sfuggiti alle maglie della giustizia internazionale con l’appoggio della Santa Sede – mai sentito parlare dell’organizzazione Odessa? – come pure degli stessi Stati Uniti. Il vento internazionale stava cambiando ancor prima che Hitler si uccidesse nel bunker e che Berlino venisse occupata dagli Alleati, a ovest, e dai sovietici, a est. Qualche pessimo elemento di certificata fede anticomunista avrebbe fatto molto comodo agli USA in Europa, per dare continuità agli apparati amministrativi di stati in sfacelo come Germania e Italia e pure a una certa tradizione antibolscevica, e ancor più in Sudamerica, dove Washington vedeva con timore ossessivo l’ipotesi della salita al potere del socialismo. Non sembra un caso che Lucio Gelli rivendicasse una profonda amicizia proprio con Perón, Videla e Pinochet.

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Chi abbia già letto qualche romanzo di Philip Kerr avente per protagonista Bernie Gunther – un poliziotto alla Philip Marlowe che non ha esattamente in stima Hitler e i suoi fantocci, ma che, da buon antieroe di un hard boiled, ha un’inusitata attrazione per i guai così come quella altrettanto perniciosa per le donne – sa che Kerr è un maestro nella ricostruzione storica e un fine narratore. La Berlino del 1932 in cui Bernie Gunther si trova a indagare sulla morte di una ragazza giovane e sullo scempio della sua femminilità è quella che sta vivendo gli ultimi rantoli della libertà, a poche settimane dalla salita al potere di Hitler. È una Berlino in cui si respira ancora un’emancipazione spregiudicata, in cui la vita notturna è una bengodi per i frequentatori dei locali di malaffare e in cui i costumi sono decadenti secondo gli standard dell’avanzante nazionalsocialismo. E la Buenos Aires del 1950 in cui Gunther suo malgrado deve trovare rifugio, dopo essere stato vittima di uno scambio di persona che fa di lui un ricercatissimo criminale di guerra, mostra inquietanti punti di contatto con la capitale della Germania in ginocchio. Ma se Berlino è un ammasso di macerie che da poco hanno smesso di fumare, la capitale argentina è una città ambigua, latina e al tempo stesso più europea di quanto si sia portati a pensare. Una città in crescita dove, però, il fantasma di una crisi economica che diventerà un male periodico ed endemico soffia già il suo alito putrido sul paese. L’Argentina è una nazione enorme, dalle risorse immani, che ha dato asilo a figure come quelle di Eichman e Mengele, tanto per citarne due. Lo spettro dell’omicidio insoluto della ragazza a Berlino nel 1932 lo segue, suo malgrado, oltreoceano, dove sono lo stesso Perón e, ancor più, la teatrale Evita a chiedere a Gunther di investigare su un caso analogo. Peccato che Perón sia accusato, per lo meno da Philip Kerr, di una propensione insana per le ragazzine pubescenti e di averne costrette diverse ad abortire.

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Bernie Gunther è un personaggio straordinario, un Marlowe precipitato tra gli orrori della Seconda guerra. Il cinismo di Marlow è preso a prestito da Kerr per rendere più credibile la sfacciataggine fatalista di Gunther che sembra preconizzare i disastri del Nazismo fin dai suoi primi vagiti. Peccato solo che non ci siano stati numerosi tedeschi capaci di fare altrettanto nella realtà della storia. A fuoco lento non è un trattato di storia, sia chiaro, ma la ricostruzione è esaustiva, a partire dagli odori, dai sapori e dai suoni che si insinuano tra le pagine. Non possono mancare le cadenze suadenti di un tango e di una milonga e il fascino oscuro di femmine fatali che sfoggiano una nobiltà di portamento mitteleuropea e una sfacciataggine latina. L’indagine su quei raccapriccianti omicidi scuoterà i palazzi del potere e porterà Gunther nei pressi di un misterioso sito militare dove si mormora siano conservati gli armamenti nucleari di cui Perón avrebbe voluto dotare il paese, non lontano da Cordoba, proprio la città di provenienza del mio amico Carlos.

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A fuoco lento, come pure gli altri capitoli della straordinaria serie di Bernie Gunther, è uno studio della psicologia umana e coniuga tale capacità di introspezione con la giusta dose di suspense e di azione. Philip Kerr non tradisce mai e ogni avventura di Gunther lo vede protagonista di una fase diversa della parabola del Nazifascismo: Violette di marzo segna l’ascesa del regime alla vigilia dei giochi olimpici di Berlino; Il criminale pallido racconta la “notte dei cristalli” e i primi pogrom contro gli ebrei; Un requiem tedesco e L’uno dall’altro descrivono la devastazione morale e fisica della Germania dopo il crollo del regime; c’è pure un capitolo in cui Gunther è alle prese con un delitto anomalo, ovvero l’attentato a Reinhard Heydrich del 1942 ne La notte di Praga. A chiudere in qualche modo il cerchio è proprio A fuoco lento, he segna il prima e il dopo.

Si potrebbe pensare che tra Argentina e Regno Unito vi sia una contrapposizione insanabile – sancita dalla insensata guerra delle Falklands/Malvinas e dalla famosa “mano de Dios”, il “gol più bello della storia”, segnato all’Inghilterra da Maradona nel 1986 in occasione della vittoriosa Coppa del Mondo in Messico – ma in realtà da sempre c’è un filo sottile e indistruttibile che lega questo enorme paese sudamericano alla Gran Bretagna, con una forte componente migratoria scozzese nel grande stato andino. La scelta di Philip Kerr in qualche modo lo testimonia e, davvero, è quasi impossibile fare meglio di lui in un noir che racconti le miserie del III Reich.

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