Viaggio nei paesi del teatro: Geraci apre l’archivio del Teatro Club

Il 5 giugno al TeatroBasilica di Roma, Stefano Geraci presenta "Viaggio nei paesi del teatro" e l'archivio digitale dedicato al Teatro Club

Viaggio nei paesi del Teatro: la storia del Teatro Club di Gerardo Guerrieri e Anne d’Arbeloff - intervista a Stefano Geraci di Alessia de Antoniis
Gerardo Guerrieri e Anne d’Arbeloff - Anno '70 - Archivio famiglia Guerrieri
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

4 Giugno 2025 - 13.16


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di Alessia de Antoniis

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Tra il 1957 e il 1984 Roma ha vissuto una stagione teatrale irripetibile. Il Teatro Club, un laboratorio cosmopolita fondato da Gerardo Guerrieri e Anne d’Arbeloff, trasformò Roma in un crocevia internazionale delle arti performative in cui transitarono, ben prima che diventassero celebri, Bob Wilson, Peter Brook, Merce Cunningham, il Living Theatre, Kantor. Oggi quel patrimonio torna accessibile grazie al progetto “Viaggio nei paesi del teatro”: una piattaforma digitale con migliaia di documenti consultabili liberamente, accompagnati da una mostra virtuale e da un album cartaceo.

A curare l’impresa è Stefano Geraci, docente, regista e ricercatore che da anni lavora sulla storia degli archivi teatrali. Sarà lui a presentare il progetto il 5 giugno 2025 al Teatro Basilica di Roma.

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Un progetto che nasce da una necessità: rendere accessibile un patrimonio fondamentale della storia del teatro italiano ed europeo – racconta Geraci – e, allo stesso tempo, costruire un racconto coerente, vivo, coinvolgente anche per chi non è uno specialista”.

Che tipo di digitalizzazione avete realizzato e quale materiale avete dovuto gestire?

Si tratta prevalentemente di documenti cartacei e di un repertorio veramente molto esteso di immagini e fotografie. Il Teatro Club aveva foto scattate durante gli spettacoli, le presentazioni, fotografie inviate dalle compagnie e dagli artisti ospitati, locandine, programmi di sala. Un repertorio unico per quantità e qualità. Alcuni fotografi erano eccezionali, come Tommaso Lepera, che è cresciuto professionalmente seguendo il Teatro Club in tutte le sue manifestazioni. Gli archivi fotografici sono molto estesi, perché sono più di uno, e questo ha reso il lavoro di digitalizzazione particolarmente complesso.

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Quanto c’è della sua “regia” in questa operazione?

Forse più che di regia dovremmo parlare di drammaturgia. Bisogna scegliere come raccontare tutto questo materiale. Il documento in sé non esiste allo stato puro: i documenti si creano attraverso relazioni con altri documenti. Un archivio, di per sé, è un deposito silenzioso.

Qual è la sfida più difficile nel passaggio dal documento analogico al digitale? Dove finisce il trasferimento della documentazione e dove inizia l’interpretazione?

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Il teatro, per sua natura, sfugge alle categorie archivistiche tradizionali. C’è tutta una “letteratura grigia” che non corrisponde alle tipologie standard. Le arti performative pongono domande specifiche: dove collocarle, che tipologie sono? Ci sono materiali non classificabili, come locandine, fotografie, lettere, appunti di regia. Questo ci ha costretto a inventare nuove unità archivistiche e a rimettere in discussione le regole stesse della catalogazione.

Insieme a Francesca Ciani, archivista, abbiamo inventato nuove unità archivistiche. La digitalizzazione comporta inevitabilmente una selezione, anche se nel nostro caso molto ampia. Dovevamo gestire materiali sparsi: oltre al Teatro Club, c’è un fondo alla Biblioteca Baldini, uno al Museo Biblioteca dell’attore di Genova, l’archivio fotografico di Tommaso Lepera a Roma, l’archivio Guerrieri alla Sapienza…

Cos’era era il Teatro Club e perché rappresenta una realtà così particolare?

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Il Teatro Club non è mai stato una struttura canonica: era festival ma non lo era, era rassegna ma anche molto di più. I festival stavano nascendo: l’anno dopo nacque Spoleto. Non esisteva un’economia culturale consolidata per gestire questo tipo di iniziative.

È nato in casa, grazie a Gerardo Guerrieri e Anna d’Arbeloff e, nel giro di 4-5 anni, è diventato un crocevia internazionale a Roma. Questo testimonia la straordinarietà di una coppia fuori dagli schemi.

Guerrieri era un intellettuale di rara profondità: regista, drammaturgo, traduttore, collaboratore di De Sica. D’Arbeloff veniva da una famiglia cosmopolita, aveva lavorato con Eleanor Roosevelt in progetti culturali transatlantici. Era bravissima a creare incontri. Insieme, hanno dato vita a un’esperienza irripetibile, diventata un nodo vitale del teatro internazionale. Formalmente lei era il direttore del Teatro Club e lui il direttore artistico. Senza l’uno o l’altra non sarebbe nato: è davvero legato alle storie di vita di queste due persone.

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Come si inseriva il Teatro Club nel panorama teatrale romano di quegli anni?

Alla fine degli anni ’50 Roma era la città del cinema e delle arti visive: c’era un grande fermento di gallerie, artisti americani, ma il teatro non aveva un punto di riferimento. Roma non era riuscita a inventarsi un modello di teatro guida. C’erano stati tanti tentativi che non furono approvati dal ministero, dove c’era ancora la mentalità rigida costruita durante il periodo fascista. E loro hanno intelligentemente cercato fondi rivolgendosi agli istituti culturali e alle ambasciate, creando rapporti internazionali.

Che ruolo ha avuto il Teatro Club nel panorama romano degli anni ’60 e ’70?

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Ha colmato un vuoto. Il Teatro Club ha saputo sfruttare quel vuoto proponendo forme nuove con un impegno economico ridotto: i workshop, le lezioni, i recital. Hanno creato i “ponti aerei”: dato che il teatro il lunedì era chiuso, gli attori arrivavano da Parigi o Londra il lunedì per ripartire il giorno dopo. Avevano addirittura creato convenzioni con Alitalia.

Soprattutto, hanno inventato nuovi spazi di presentazione. Kantor, prima di diventare famoso, fece i primi spettacoli al Teatro Club in luoghi particolari: alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nel sotterraneo, oppure al Circo Medini. Le danze di Béjart furono fatte al Palasport con 8.000 spettatori, come un concerto dei Rolling Stones.

Cosa può insegnare il Teatro Club al teatro contemporaneo?

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Molto. Innanzitutto lo slancio, l’intraprendenza: facevano cose incredibili con mezzi limitati. E poi la libertà: si muovevano senza il timore di non essere compresi, con la voglia di esplorare. Oggi spesso ci si blocca chiedendosi “chi ci finanzia?”, “chi ci autorizza?”. Loro invece dicevano: “facciamolo, e vediamo cosa succede”. Negli anni ’70 si facevano cose incredibili con quattro soldi.

C’era anche più ascolto, più disponibilità, curiosità. Erano gli anni in cui stava mutando tutto e loro avevano percepito che stava nascendo una nuova geografia artistica del teatro.

Cosa manca nelle nuove generazioni di teatranti?

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Manca un po’ quello slancio del “facciamolo”. Quell’istinto a tuffarsi. Tanti giovani che incontro sono bravissimi, ma sembrano sempre trattenuti. Mancano persone che dicano loro “vai, buttati, sbaglia pure”.

Nel passaggio al digitale, c’è il rischio di musealizzare questo teatro?

No, perché abbiamo creato una mostra virtuale che non presuppone competenze specifiche, la raccontiamo con molte immagini. I documenti non esistono in natura, si creano. Una lettera di Gassman non è di per sé un documento: è una lettera che può diventare documento.

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Il digitale permette consultazioni diverse e una circolazione completamente nuova. Dal 5 giugno sarà disponibile liberamente a chiunque un patrimonio teatrale che va dagli anni ’50 agli ’80: da Bobo Hilson a Kantor, dal Living Theatre a Paul Taylor, la chanson francese, i teatri asiatici che arrivavano per la prima volta in Europa…

Il progetto è davvero accessibile a tutti?

Sì, c’è un motore di ricerca (sul sito www.gerardoguerrieri.com) che permette ricerche incrociate. Non è che uno va lì perché gli serve una cosa specifica; vai lì, cominci a esplorare e scopri cose che non ti aspettavi di trovare. Ci sono molti manifesti bellissimi dal punto di vista iconografico, le straordinarie foto di Tommaso Lepera… È concepito per essere esplorato, per far scoprire un mondo che ha cambiato la geografia del teatro italiano ed europeo. Un pezzo di storia che sembrava perso e che oggi, grazie al digitale, torna disponibile per tutti: studiosi, artisti, spettatori. Perché il teatro non si conserva, si trasmette.

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Viaggio nei paesi del teatro è stato realizzato grazie al finanziamento del Ministero della Cultura dell’Unione Europea, con i fondi Next Generation UE stanziati nell’ambito del PNRR TOCC per la Transizione Digitale delle Imprese Culturali e Creative.

TEATROBASILICA P.za di S. Giovanni in Laterano, 10, Roma – Giovedì 5 giugno 2025, ore 18:00 

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