di Alessia de Antoniis
Al Ministero della Cultura il 2 luglio è andata in scena una pantomima istituzionale di rara mediocrità. Stefano Massini, drammaturgo e direttore del Teatro della Toscana, è stato convocato dal sottosegretario Mazzi per un incontro pubblico sul declassamento della Pergola.
Una commedia dell’assurdo di fronte a una platea di giornalisti, al termine della quale i due hanno lasciato la Sala della Crociera senza rispondere a domanda alcuna.
Stefano Massini non ha usato mezzi termini sul taglio di 20 punti inflitto alla valutazione del Teatro della Toscana da parte della Commissione: «Se non è un cecchinaggio questo, mi chiedo cosa sia un cecchinaggio». E rincara: «Mi vengono addebitati addirittura venti punti in meno sulla qualità perché Massini è autoriferito». Come se avere una visione artistica coerente fosse una colpa.
E ancora: «Improvvisamente sarei diventato portatore di una visione settaria. Non avrei i requisiti di internazionalità? Bastava chiedermi il programma. Sono poi l’autore italiano più internazionale con traduzioni in 38 lingue». Curiosamente, poco prima lo stesso Mazzi aveva elencato i premi ricevuti da Massini, compresi, unico caso in Italia, 5 Tony Award.
Massini all’inizio ha cercato un superamento delle divisioni politiche. Ha ricordato quando Dario Fo disse: “Proprio perché sono ateo devo stare insieme a chi ha fede, perché se stessi soltanto insieme agli atei, sarei un beota”. E ancora: «Fino a quando non converremo che destra e sinistra sono semplicemente due modi diversi di vedere il mondo, non andremo avanti. Non esiste solo il bianco e il nero: esiste il grigio. E nel grigio si colgono le sfumature, si avverte la bellezza di una visione che sconfina nell’altrui».
E parlando della cultura italiana, Massini ha ricordato come «Questo Paese ha dato il meglio di sé ogni volta che destra e sinistra hanno smesso di farsi la guerra culturalmente e hanno deciso di procedere insieme». E che «Se un tempo ci fosse stata questa Commissione, probabilmente non avremmo Il Gattopardo – Tomasi di Lampedusa era dichiaratamente di destra – di Visconti – di sinistra – e non avremmo la commedia italiana».
«Io sono direttore artistico di un teatro pubblico, non di un teatro privato – ha poi detto Massini – e la differenza tra pubblico e privato è una differenza che molto spesso ci dimentichiamo. Come teatro pubblico io ho il dovere di essere il direttore di tutti. Quello che noi proviamo a fare in teatro, scrivendo un libro, girando un film, non è di destra e non è di sinistra».
E ha affondato: «È giusto che io, direttore di un teatro pubblico, non abbia diritto di essere ascoltato prima che una commissione spari un verdetto?».
A tratti surreali sono state le parole di Mazzi. Il sottosegretario ha ostentato stima e rispetto, affermando che «Massini è un patrimonio per l’Italia», paragonato a Fo, Benigni e Celentano. Gentilissimo Mazzi a preoccuparsi per l’amico Massini, ricordando come già a suo tempo gli aveva detto che ‘un artista non dovrebbe mettersi in un ruolo di direttore artistico’. Prima di dispensare consigli, però, dovrebbe almeno sapere con chi lavora, visto che, nel suo lungo e non risolutivo intervento, ha affermato, riferendosi alla Commissione che ha declassato la Pergola, «Non conosco nemmeno i membri». E comunque: se un direttore artistico non può essere un uomo di teatro, premiato nel mondo, allora chi vogliamo al suo posto? Un esperto di promozione turistica con diploma alberghiero?
Cortese anche quando mette in guardia Massini dal non farsi strumentalizzare da «un sistema opaco e una vischiosa commistione tra politica e cultura». Già, meglio la commistione tra politica e industria bellica…
Mazzi parla di trasparenza e autonomia mentre scarica tutte le responsabilità su una commissione parzialmente dimissionaria. Ma la Commissione consultiva era incompleta (Cassani, Grassi e Pastore, rappresentanti di ANCI, UPI e Regione, si erano dimessi con una lettera indirizzata al Ministro Giuli, affermando che la decisione di declassare la Fondazione Teatro Nazionale della Toscana — con alla direzione artistica Stefano Massini — «ci trova assolutamente contrari e rende impossibile la prosecuzione del lavoro») e nessuno ha alzato un sopracciglio sulla sua legittimità.
Mazzi parla di teatro come fosse a un comizio elettorale, racconta un’operazione di regime sul comparto cultura che vedrà la luce nella primavera 2027, ma non spende una parola sul futuro della Fondazione Teatro della Toscana, sulle risorse disponibili o su cosa cambi concretamente nella missione della Pergola ora che è diventata “teatro di città”. Auspica un incontro tra Massini e la Commissione, senza dirci a che serve ora, dopo che l’esito è stato comunicato. Finanzieranno la Fondazione con altri fondi? Annulleranno l’esito della Commissione? Ovvio che sono ipotesi surreali. Quindi a che servirebbe un incontro ora? Perché non autorizzarlo prima?
In sintesi: un’ora e mezza di incontro senza che ai giornalisti fosse concessa una domanda. Ormai una prassi per questo Governo, allergico al confronto. Un incontro iniziato con quasi 40 minuti di ritardo, in una Roma torrida, per assistere a un curioso spoil system culturale, dove un sottosegretario ignora la composizione stessa della Commissione, loda il diretto interessato come icona culturale – già dichiarato da Giuli patrimonio Unesco – ma gira attorno al vero nodo: le sorti economiche del teatro. Almeno il Minculpop dava le veline. Qua abbiamo dovuto ascoltare che Mazzi è diventato di destra perché al ginnasio, durante un’assemblea studentesca, studenti con l’eskimo gli hanno impedito di parlare.
Un coup de théâtre è stata poi l’analisi di Mazzi su un vaticinio di alcuni mesi fa ad opera di un giornalista. Massini, ha ricordato: «Scoprire il giorno dopo che ti sei insediato come direttore artistico, che qualcuno dice ‘vediamo se ti manterranno la carica di teatro nazionale’ e vedere, dopo sei mesi, che questa cosa viene mantenuta, non è stata per niente una bella pagina». Al che l’arguto Mazzi ha replicato che forse il giornalista non è stato profetico, ma ha lanciato un’idea che qualcuno ha raccolto.
Il risultato? Un teatro nazionale di fatto sospeso, una Commissione in difficoltà strutturale e una leadership culturale incapace di dare risposte concrete, tanto nel merito quanto nell’azione; soldi in meno per tutte le maestranze che di teatro lavorano e vivono; un danno d’immagine per i teatri della Fondazione Teatro della Toscana, Pergola in testa. Un Paese che taglia fondi alla cultura mentre racconta di volerla difendere.
La Pergola resta, il Ministero resta. Ma chi pagherà il conto?