Alessia de Antoniis
Tra le novità della sesta edizione del Ginesio Fest c’è una partnership che segna un cambio di passo: la collaborazione strategica con Fondazione Piemonte dal Vivo, il circuito regionale multidisciplinare che per il triennio 2025-2027 ha scelto di aprire le sue traiettorie oltre i confini piemontesi. Il primo festival individuato è proprio San Ginesio, borgo rinato all’ombra del terremoto, che oggi celebra il teatro come linguaggio comunitario e occasione di memoria.
«Piemonte dal Vivo – ha ricordato il direttore Matteo Negrin – non è solo un circuito di programmazione, ma un soggetto che atterra le politiche culturali della Regione, correggendo squilibri tra aree centrali e periferiche. In un paese dove i borghi vengono spesso ridotti a scenografie per selfie, San Ginesio rappresenta un modello coraggioso: non un parco tematico per turisti mordi e fuggi, ma una comunità che lavora sulla propria identità attraverso la cultura». Alla dimensione strategica Negrin ha aggiunto un monito: «Lo sviluppo sostenibile è possibile solo se ogni portatore di interesse – cittadini, artisti, amministrazioni, privati – trova il proprio posto nel progetto. Non basta fruire, bisogna partecipare. L’abitante, lo spettatore, il mecenate: tutti devono sentirsi parte di un puzzle. Solo così si genera valore, non solo economico ma sociale»
Negrin ha anche richiamato la necessità di invertire la logica del PNRR: «Spesso si parte dalle risorse per poi chiedersi cosa farne. Noi cerchiamo di lavorare al contrario, aiutando i comuni a costruire progetti di sviluppo culturale prima dei bandi. Solo così gli investimenti diventano strategici e non occasioni mancate». È la stessa prospettiva che lo porta a parlare di “borghonauti”, viaggiatori che consumano esperienze preconfezionate nei centri storici senza lasciare radici: un fenomeno che ha svuotato molti borghi, riducendoli a scenografie turistiche. San Ginesio, al contrario, prova a custodire identità e comunità.
Il tema del festival come strumento di sviluppo dei territori torna più volte negli interventi: un festival non è solo programmazione di spettacoli, ma dispositivo capace di generare valore sociale, economico e culturale. E per durare, ha sottolineato ancora Negrin, deve mantenere «autonomia organizzativa e identità artistica, non limitarsi a soddisfare requisiti ministeriali».
Uno spettatore che viene a un festival, poi, può tornare come turista anche in altri periodi, si trasforma da testimonial quando ne parla agli altri raccontando la sua esperienza. Sul piano artistico, Leonardo Lidi, direttore artistico del Ginesio Fest, ha insistito sulla necessità di dare spazio alla formazione del pubblico, quello che poi torna nei borghi di anno in anno.
«Creare spettatori – ha detto Lidi – significa accompagnarli, dare spazio alle nuove regie, permettere agli artisti di sperimentare anche con il rischio di sbagliare. Un festival deve essere un luogo in cui ci si può permettere di fallire, perché l’errore è parte del percorso: è il segno che un artista sta cercando e che un pubblico sta imparando a guardare, per crescere insieme. È questo che rende il Ginesio Fest autentico».
«Un festival – ha concluso Lidi – non può vivere di scorciatoie mediatiche. Non serve riempire le piazze con i volti televisivi, serve formare spettatori che crescano insieme agli artisti. È questo che crea una comunità duratura».
A completare il quadro, la voce di Isabella Parrucci, presidente dell’associazione promotrice del Ginesio Fest, che ha ricordato la genesi del festival: «Il terremoto e il Covid ci avevano lasciato nel buio. Abbiamo scelto di ripartire dal teatro, con l’idea del Borgo degli Attori. All’inizio non c’era strategia, solo passione. Oggi vedo una comunità che cresce accanto agli artisti più bravi della scena italiana. Non ci interessano le celebrità da passerella: vogliamo la bellezza che ti cambia dentro».