di Alessia de Antoniis
Al Tropea Film Festival il conferimento dell’Omaggio speciale Raf Vallone a Francesco Pannofino, attore tra i più amati dal pubblico, per il suo contributo al cinema e alla televisione. A consegnare il premio è stato Saverio Vallone, attore e figlio del grande Raf Vallone.
Francesco, essere considerato uno dei re del doppiaggio italiano è un titolo che pesa. Ma i re, si sa, sono spesso soli. È così anche per lei?
Mah, soli lo siamo un po’ tutti, che cosa vuol dire. Io ho la mia famiglia, non mi sento solo. Certo, il doppiaggio ti porta a stare tante ore in sala, ma è un lavoro che dà compagnia: quella delle voci degli altri.
Ha prestato la voce a George Clooney per anni. È vero che lui stesso le ha fatto i complimenti?
Sì, Clooney una volta mi telefonò dopo aver visto un film doppiato: mi disse che avevo una gran bella voce e che ero anche un bravo attore. Mi fece piacere, ovviamente. L’ha ripetuto anche ospite da Fabio Fazio: “Ho una bellissima voce in italiano”, disse.
Ci sono stati altri attori che si sono complimentati con lei?
Un altro che si è voluto complimentare fu Michael Madsen, che avevo doppiato in Kill Bill 2. Mi ha detto: “Ma come fai a rifare la voce, la mia voce è uguale.” Gli ho detto: “Ho guardato le corde vocali… e l’ho doppiato.” Lì ho capito che il doppiaggio può sorprendere perfino gli attori originali. Mi ha fatto piacere, anche perché Michael Madsen non ha niente di rassicurante. Ho pensato: “Questo adesso mi mena.” Invece poi mi ha regalato un sorriso, era tenerissimo. E siamo andati col bicchiere di tequila.
Un attore che le piacerebbe incontrare e non ha ancora conosciuto?
Denzel Washington. Lo stimo moltissimo: è un attore straordinario, uno che recita con gli occhi. E per me nel cinema lo sguardo è fondamentale.
Si dice che un doppiatore debba essere prima di tutto un attore. Vale anche il contrario? Il doppiaggio le ha insegnato qualcosa per la recitazione in cinema e teatro?
Sì, perché a furia di entrare in altri personaggi, anche involontariamente ti resta qualcosa. Quando poi reciti in primo piano, ti viene naturale applicare quei dettagli. L’attore è fatto di “acchiappi”: deve saper cogliere atteggiamenti e personalità e riportarli quando serve.
Il doppiaggio può salvare un film?
No, se un film è brutto, è brutto. Al massimo il doppiaggio può renderlo popolare, con frasi entrate nell’immaginario. Penso a Il gladiatore, “Al mio segnale scatenate l’inferno” o a Forrest Gump: “La vita è come una scatola di cioccolatini” funziona bene anche in italiano, ma sempre restando aderente all’originale. Non bisogna mai tradire l’opera.
Oggi si parla molto di intelligenza artificiale applicata al doppiaggio. Cosa ne pensa?
È irrefrenabile, come fermare il vento con le mani. Però per ora si sente quando è artificiale. Il doppiaggio non è solo voce, è recitazione: doppiare significa doppiare un’anima. L’IA potrà migliorare, ma va regolamentata: non è giusto campionare la voce di qualcuno senza consenso.
Come ha iniziato?
Avevo 19 anni. All’epoca c’era un grande fermento perché arrivavano le tv private e aumentava il materiale da doppiare. Ho iniziato facendo l’assistente al sindacato attori, poi mi sono formato frequentando le moviole, imparando il mestiere. Non vengo da una famiglia del settore: mi sono fatto da solo.
Cosa è cambiato da allora?
Tante cose. Una volta c’erano i grandi che ti formavano. Oggi, complice anche il Covid, ognuno doppia la sua parte da solo. I ritmi sono più serrati e spesso vengono premiati i più veloci, non i più bravi. Ma ci sono ancora lavorazioni in cui si può imparare.
Il pubblico però la conosce anche come attore di Boris. Si aspettava un successo simile?
No, nessuno se lo aspettava. All’inizio era un progetto piccolo, quasi “con una scarpa e una ciavatta”. Poi gli autori ci hanno messo dentro storie vere, condensate, e il pubblico ci si è riconosciuto. Il bello di Boris è che racconta i paradossi del set: fa ridere, fa pensare, mostra virtù e meschinità umane.
Ci sarebbe materiale per un altro Boris?
Lo farei ancora per anni
Le hanno mai attribuito personaggi non suoi?
Mi è capitato di sentirmi dire: A Francé, me fai la frase “al mio via scatenate l’inferno?”. L’ho rifatta come la fa Luca Ward…
A breve la vedremo in un corto di Alessandro Parrello…
Sì, interpreto un albero d’olivo millenario. È un ruolo particolare e complesso perché richiede effetti speciali importanti, ma Alessandro è molto bravo. Il fatto che stia dedicando tanto tempo al film dimostra quanto ci tenga: certi effetti o li fai bene o rischi la figuraccia. Il tema è bellissimo, a sfondo ecologico, e tocca un problema molto sentito in Puglia, quello della xylella, che ha provocato danni enormi.
Se togliessimo la voce a Pannofino, cosa resterebbe?
Un marito, un padre, un uomo. La voce è uno strumento di lavoro, certo, ma non è tutto.
Se smettesse di doppiare?
C’è sempre il teatro, che continuo a fare ogni anno. Quest’anno, per esempio, sarò in scena con Rosencrantz e Guildenstern sono morti. A Roma sarò all’Ambra Jovinelli.
Se dovesse doppiare se stesso, quale attore sceglierebbe?
Non ci ho mai pensato. George Clooney. Se devo puntare, punto in alto.
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