di Alessia de Antoniis
Dopo decenni di silenzio, l’acqua è tornata a scorrere nel Ninfeo di Villa Giulia. Il suono è quello di una sorgente che rinasce: discreto, vitale. In questo spazio simbolico, primo “teatro d’acque” di Roma, cuore dei giardini voluti da papa Giulio III, le sculture di Keita Miyazaki (Tokyo, 1983) si ergono come presenze nate da un sogno di metamorfosi.
L’esposizione, curata da Pier Paolo Scelsi con la co-curatela di Ilaria Cera e la direzione artistica di Riccardo Freddo (Rosenfeld Gallery), è realizzata da LoveItaly – IUVART con il sostegno della John Cabot University.
Le nove sculture site-specific, installate tra il Ninfeo, la Grotta dell’Acqua Virgo, la Sala dello Zodiaco e il giardino esterno, sembrano creature nate dall’urto tra due mondi.
La loro ossatura è metallica: marmitte d’automobile, tubi di scarico, frammenti di motori, lamiere ossidate. Materiali respinti dal ciclo produttivo, relitti del progresso, simboli della potenza ormai estinta dell’industria.
Su questi corpi inerti Miyazaki innesta la leggerezza della carta piegata e del feltro colorato: petali, ventagli, spirali, forme organiche che ricordano anemoni di mare o coralli. Il metallo, morto, diventa substrato di vita; la carta, fragile, diventa struttura.
È un ossimoro materico e poetico. Le sculture paiono fiori sbocciati sull’acciaio, rovine industriali che rifioriscono in un’altra lingua. I colori, arancio, verde acido, turchese, rosa cipria, blu notte, evocano una natura artificiale eppure vibrante. Sono fiori che non appassiscono e, proprio per questo, interrogano il nostro sguardo: che cos’è la vita, se anche la bellezza nasce dal riciclo della morte?
Il Ninfeo restaurato accoglie le opere come se fossero sempre appartenute a quel luogo. Le geometrie rinascimentali riflettono le curve biomorfiche delle sculture, la pietra bianca amplifica i loro colori, l’acqua in movimento ne moltiplica i riflessi.
Il dialogo tra epoche diventa naturale, come se il Rinascimento e il XXI secolo condividessero la stessa ossessione: dare forma alla materia, domare il caos, creare armonia da ciò che si disgrega.
L’artista non invade il luogo, lo ascolta. Nella Grotta dell’Acqua Virgo, il metallo si confonde con l’umidità della pietra; nella Sala dello Zodiaco, tra affreschi cosmici attribuiti alla bottega di Prospero Fontana, la carta pieghettata si fa costellazione.
Ogni ambiente è una soglia tra elementi: solido e liquido, naturale e artificiale, luce e ombra.
Di giorno le sculture hanno peso, consistenza, densità. La lamiera riflette la luce, la carta assorbe ombre, le pieghe disegnano geometrie precise. Ma al calare del sole accade la metamorfosi: sotto le luci del giardino, i materiali si rovesciano.
Il metallo scompare nell’oscurità, mentre la carta si accende come una lanterna giapponese. Le opere diventano presenze luminose, quasi spirituali: organismi bioluminescenti che fluttuano nel buio.
Ciò che di giorno appariva fragile ora irradia luce; ciò che era solido si dissolve. È un ribaltamento di gerarchie: la materia debole diventa rivelazione, la leggerezza resiste più della forza.
Dalla catastrofe alla poesia
Miyazaki porta nel Ninfeo una visione nata dalla catastrofe. La sua poetica si è formata dopo Fukushima, nel 2011, quando la natura e la tecnologia collassarono insieme, rivelando l’illusione di dominio umano sul mondo. Da quella frattura nasce la sua estetica della contraddizione: cercare vita nelle rovine, luce nel metallo bruciato.
I materiali di scarto non sono scelta decorativa, ma memoria di un trauma. Ogni marmitta, ogni tubo, è un resto di civiltà, un frammento di un’epoca che ha consumato se stessa. Trasformarli in corpi scultorei è un atto di resistenza poetica: un modo per ricordare che la bellezza, oggi, non si costruisce più ex novo, ma si rigenera dai residui.
Il ritorno dell’acqua nel Ninfeo restaurato dà senso all’intera operazione. Non è solo restauro, ma gesto simbolico: l’acqua come memoria e rinascita, come filo che collega epoche, culture e linguaggi.
“Le opere di Keita si comportano come semi che trovano nutrimento nell’antico Ninfeo”, spiega il curatore Pier Paolo Scelsi. “L’acqua collega culture e tempi diversi e il suo rinnovato fluire non è solo restauro architettonico, ma rigenerazione culturale.”
Così il Ninfeo torna a essere teatro vivo, non monumento immobile: un luogo dove la storia non si conserva, ma si trasforma.
Abitare la contraddizione
The Eternal Duality non cerca armonia: accetta il conflitto come condizione vitale. Nelle opere di Miyazaki, la vita non sostituisce la morte, ma la accompagna; la fragilità non è debolezza, ma forma di conoscenza.
Nel confronto con la pietra etrusca, con il marmo del Tiberino, con le decorazioni rinascimentali, queste sculture non scompaiono: respirano. Portano il tempo presente dentro la storia, come un’eco che si rinnova.
Quando cala la sera e i fiori di carta si accendono nell’acqua, il Ninfeo sembra ritrovare la sua voce antica. È il suono dell’acqua che scorre, ma anche quello della materia che si trasforma.
Una voce che ci ricorda che la bellezza non è l’opposto della rovina, ma una sua naturale conseguenza.