Un viaggio tra storia e mito alla scoperta degli agrumi italiani, tesoro di biodiversità e bellezza paesaggistica

Il libro di Paola Fanucci e Alberto Tintori racconta la storia, la cultura e la biodiversità degli agrumi italiani, unendo botanica, arte e mito.

Un viaggio tra storia e mito alla scoperta degli agrumi italiani, tesoro di biodiversità e bellezza paesaggistica
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19 Ottobre 2025 - 10.59


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di Marianna Scibetta

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E’ davvero un viaggio immersivo quello che ci propongono i due autori di quest’opera che con grande competenza e “freschezza” ci accompagnano in uno splendido  percorso tra la varietà degli agrumi e degli ibridi e la loro storia, aprendo un varco all’idea di quanto siano importanti la biodiversità e la salvaguardia del suo equilibrio.

E’ proprio la finalità del libro specificare nelle varie regioni d’Italia, da Nord a Sud , questa spiccata caratteristica delle coltivazioni che assume una preziosa diversità a seconda dei luoghi in cui fiorisce .

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Gli autori di questa pregiata pubblicazione già dalla copertina invitano i lettori con un’immagine molto bella ed evocativa delle varie specie raffigurate sullo stesso albero che mostra i fiori e nello stesso tempo i frutti, quei pomi d’oro di cui trabocca la mitologia e la storia , facendone quasi percepire l’intenso profumo delle zagare. 

A partire dal padre gesuita Giovan Battista Ferrari con il suo volume dedicato alle Hesperides (1646) fino al chimico Pierre Laszlo (2006) e al recentissimo studio botanico di Giuseppe Barbeo (2023) si sviluppa, in divenire, la storia e la diffusione dello studio intorno alle Aurantioideae

Dagli antichi e successivi studi di Linneo e delle sue classificazioni sulle diverse specie come il cedro , il limone, il mandarino e il pompelmo, specie  originarie dell’India e dell’estremo oriente che li raggruppò tutti nel nome latino citrus  si cominciò a ricostruire la storia delle origini di questa meravigliosa specie vegetale.

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Per diverso tempo gli agrumi, arrivati in Italia , furono coltivati in vaso e le loro essenze furono distillate , a partire dal 1700, per ricavarne acque distillate e profumate, Eau de cologne, ma furono anche preziosi  l’ applicazione e l’impiego per così dire farmacologico e medicamentoso  grazie alla Scuola Medica Salernitana. Gli agrumi furono determinanti per la cura del temuto scorbuto diffusosi nel XVII sec.

 Successivamente si scoprì che le condizioni climatiche delle varie regioni d’Italia si rivelarono buone per la cultura degli agrumi tanto da poter essere coltivati in piena terra. 

Le coltivazioni mutarono, nel corso della storia, la fisicità dei territori attraverso la diffusione di una verde e rigogliosa vegetazione, ma anche attraverso vere e proprie costruzioni quali terrazzamenti, ciglioni, strutture architettoniche finalizzate alla protezione delle piante durante i mesi più freddi e anche per  le recinzioni fatte di muri alti  e di coperture particolari che  hanno inciso sulla natura dei paesaggi rendendoli assolutamente unici.

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Il commercio citrino ha arricchito anche l’economia di quelle zone in cui la diffusione dei pomi d’oro ha creato un indotto specializzato e ha ridisegnato paesaggi, territori e culture dei gruppi sociali che lo vivono.

Nel corso dei secoli, la ricerca botanica e  la presenza della biodiversità citrina si è evidenziata in pittura, in letteratura, nei laboratori farmaceutici e nella tradizione alchemica, lasciando una traccia indelebile anche negli stemmi araldici  dove immagini con “arbore di pomaranze et cetri” trovavano la loro collocazione simbolica.

Così possiamo ammirare culture di aranci e cetri lungo le rive del Lago Maggiore in Piemonte con suggestioni letterarie che Torquato Tasso ha per così dire dipinto in poesia nel Giardino d’Armida della Gerusalemme Liberata accennando a viali, selve e fiori.

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In Lombardia nelle ampie serre nascoste tra i boschi di lauro dove si spande il profumo dei cedri e degli aranci come scrive in “ Notizie e appunti geografici e storici “ Benaco.

Nelle limonaie sul Garda costruite su lunghi terrazzi e circondate da mura alte.

A Salò dove il farmacista e chimico Antonio Bonardi fu il primo nel 1790 a distillare la gustosa bevanda dei cedri di Salò.

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In Liguria dove la leggenda narra che la ninfa Aretusa giunse a portarvi i pomi d’oro che trovarono non poche difficoltà e sofferenze per attecchire in un territorio petroso, in una sottile striscia di terra con a nord le montagne e a sud il mare aperto, ma dove l’ingegno e l’operosità dei Liguri furono determinanti per questa splendida cultura,  creando “terrazzi”, “lunette “ e “ciglioni” negli splendidi horti scelti proprio dalla dea Aretusa, come si narra e dove l’irrigazione attraverso un sistema di aperture di chiuse sotterranee trasforma un territorio arido e sterile nella più bella e fruttuosa cultura di limoni .

Come non fermarsi nei giardini medicei della Toscana con gli aranci messi a cultura negli splendidi vasi di terracotta o di bronzo  e in quelli romani del Rinascimento , immagini affrescate dagli allievi di Raffaello nelle Logge del Vaticano e nella villa Farnesina da Giovanni da Udine nei festoni di Amore e Psiche?

A portare un pollone di arance amare dalla Spagna a Roma fu il frate spagnolo Domenico Di Guzman a partire dal 1200 , il frate lo trapiantò nel giardino del Convento di Santa Sabina sull’Aventino.

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L’arancio di San Domenico è ancora presente e  visibile attraverso un foro del muro ed è ritenuto miracoloso.

Continuando il viaggio potremmo ritrovarci nella Villa di Poppea , la moglie di Nerone ad Oplontis, oggi Torre Annunziata, dove ben trentotto vasi di limone si trovavano ai piedi di altrettante colonne .

A Pompei nella casa dei cubicoli floreali del I sec. d.C. aranci raffigurati nei dipinti affrescati con dovizie di particolari che testimoniano che limoni ed arance erano coltivati già prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

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Profumi, aromi, sapori distinguono gli antichi agrumeti della Calabria e della Sicilia con le varietà Tarocco, Moro e Sanguinello o con la storica varietà dell’arancia di Ribera DOP. 

Come non pensare alla Conca d’Oro di Palermo dove l’irrigazione degli splendidi aranceti avveniva tramite il sistema idrico e di  aerazione  sotterraneo dei Qanat?

Nel libro di Paola Fanucci e Alberto Tintori, con una splendida prefazione dell’editore, Daniele Olschki, si può apprezzare davvero il viaggio di conoscenza botanica, ma anche regionale e del territorio geografico italiano, ripercorrendo le gesta mitologiche e la storia attraverso aneddoti e testimonianze antiche che la Letteratura e le Arti ci hanno tramandato sapientemente e che la scoperta dei ricercatori ci svela con sorprendente capacità. Il testo è ricco di fotografie e immagini  , mentre nell’appendice, molti sono i suggerimenti e le accortezze utili per la coltivazione di questi meravigliosi frutti della natura.

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