di Alessia de Antoniis
Roma torna a farsi porto franco del cinema indipendente con la XXIV edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival, in programma dal 21 al 28 novembre tra il Nuovo Cinema Aquila e il Cinema Farnese. A guidare questa stagione è una novità che pesa come un manifesto: il Premio Oscar Paul Haggis è il nuovo direttore artistico del festival, affiancando il fondatore Fabrizio Ferrari.
Non è solo un cambio di firma, ma un posizionamento politico: in un’industria sempre più schiacciata tra piattaforme e algoritmi, il RIFF rivendica la centralità delle “voci indipendenti”, quelle che rischiano, sbagliano, sperimentano e spesso anticipano temi e linguaggi del cinema di domani. È questo il terreno su cui il festival lavora da 24 anni e che questa edizione rilancia con forza.
Un festival, molte geografie
L’edizione 2025 mette in campo 88 opere tutte in anteprima italiana: 5 lungometraggi internazionali, 5 lungometraggi italiani, 12 documentari, 50 cortometraggi (25 italiani e 25 internazionali), 6 video animati, 10 lavori sperimentali, oltre ai pitch delle sceneggiature e dei soggetti finalisti.
Il cuore pulsante del festival resta il Nuovo Cinema Aquila, ma una parte della sezione internazionale si sposta al Cinema Farnese in Campo de’ Fiori, che per tre giorni – dal 24 al 26 novembre – si trasforma in una vera e propria “camera di decompressione” del festival: un luogo dove vedere i film, ma anche smontare e discutere le narrazioni che li attraversano.
In giuria, a fotografare la pluralità di sguardi, siedono figure che arrivano da mondi e sensibilità differenti: il direttore della fotografia Ben Minot, il compositore Gabriele Ciampi, la direttrice di produzione Barbara Busso, il presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli Mario Colamarino, il regista e sceneggiatore Enzo D’Alò, la casting director Teresa Monaco.
Il Farnese come laboratorio di storie
La mini-rassegna del Farnese si apre lunedì 24 novembre alle 18.30 con un incontro che racconta bene l’anima del RIFF: “Le sfide della scrittura per la TV e il cinema”, un dialogo tra Paul Haggis, Stefano Bises e Daniele Cesarano sul modo in cui oggi si costruisce una storia solida, dal personaggio alla sceneggiatura, fino all’industria che deve produrla e distribuirla. L’ingresso è libero, con priorità per gli accreditati: una scelta che tiene insieme formazione, industria e pubblico curioso.
A seguire, alle 21.00, arriva Eva di William Reyes, coproduzione Honduras-Colombia: la storia di una donna trans che, dopo la morte improvvisa della nuora, si prende cura della nipotina cercando allo stesso tempo di aiutare il figlio a ricucire un legame emotivo con la bambina. Un racconto familiare intimo che apre a questioni di identità, lutto, genitorialità e riconoscimento, lontano da semplificazioni.
Martedì 25 novembre il viaggio si sposta ancora più a nord, con The Sami Song of Survival di Iara Lee, previsto alle 19.00: un’opera che esplora le storie di resilienza del popolo Sámi, tra difesa dell’identità e sopravvivenza in un contesto politico, climatico e culturale sempre più ostile. Segue alle 21.00 Where Do We Begin della regista polacca Monika Majorek, la vicenda di tre fratelli e della loro madre alle prese con i frammenti di memoria del padre dopo una morte prematura. Prima del lungometraggio, il corto The Crooked Heads di Jakub Krzyszypin: ancora una volta, al centro non c’è il “caso” ma il modo in cui le immagini provano a dare forma a ferite, ricordi, irrisolto.
Martedì 25 al Farnese arriva anche Dolcemente di Alessandro Parrello, thriller drama di 27 minuti con Marco Leonardi, Antonio Gerardi e Giulia Ragazzini che, tra funerali, testamenti e amori rimossi, usa il ritorno a casa di Giorgio per scoperchiare segreti di famiglia e un passato rimosso, prima di un incontro con regista e cast che promette di allargare il discorso oltre lo schermo.
Mercoledì 26 novembre la rassegna al Farnese si chiude con due titoli che tengono insieme storia e geopolitica. Alle 19.00 Syria: The Fall of the Assad Clan di Edith Bouvier, documentario francese che ripercorre la caduta della dinastia Assad e le sue conseguenze sul tessuto sociale, politico e umano della Siria: il tipo di racconto che il mainstream spesso schiaccia in poche immagini di repertorio, mentre qui trova il tempo lungo dell’analisi. Alle 21.00 arriva in anteprima italiana The Anatomy of the Horses di Daniel Vidal Toche, coproduzione tra Spagna, Perù, Colombia e Francia. Sconfitto, il rivoluzionario del XVIII secolo Ángel Pumacahua fugge verso il proprio villaggio e si ritrova, per un cortocircuito temporale, nelle Ande peruviane del XXI secolo, dove un meteorite squarcia il tempo e fa collidere epoche, corpi, memorie. Il regista sarà presente in sala.
Difendere le voci indipendenti nell’era degli algoritmi
In controluce, il programma del RIFF sembra rispondere a un’unica domanda: cosa vuol dire fare cinema indipendente oggi, quando le storie sono filtrate da piattaforme, algoritmi di raccomandazione e logiche di mercato sempre più aggressive?
Haggis, nel suo messaggio di insediamento, ricorda come non sia più scontato trovare produttori disposti a fidarsi dell’istinto e di una visione autoriale senza inseguire i dati delle piattaforme: una dinamica che rischia di espellere proprio quelle opere “difficili” che hanno bisogno di festival come il RIFF per nascere, circolare, incontrare un pubblico.
In questo senso, la combinazione tra la sala di quartiere del Nuovo Cinema Aquila e uno spazio storico come il Farnese disegna una geografia simbolica: il cinema indipendente non è solo “altro” rispetto all’industria, ma è un luogo materiale, fatto di sale che resistono, di programmazioni che non inseguono il grande evento e di spettatori che si concedono il lusso di vedere un film di cui – miracolo – non hanno già visto il trailer su un social.
Un rifugio, non una nicchia
Da storie trans in America Latina ai movimenti di liberazione indigeni del Nord Europa, dalla Siria post-Assad alle Ande peruviane attraversate da utopie rivoluzionarie fuori tempo massimo, il RIFF rimette al centro sguardi che il racconto dominante tende a marginalizzare o rendere monolitici.
Non si tratta di costruire una “nicchia” per addetti ai lavori, ma un rifugio in cui autori e autrici possano correre rischi, e il pubblico possa allenarsi a guardare il mondo da prospettive meno rassicuranti. È il contrario della comfort zone: è un festival che chiede tempo, attenzione, disponibilità a perdersi un po’ nelle storie prima di ritrovare il filo.
Per chi vuole capire dove sta andando il cinema indipendente e il mondo che racconta, l’appuntamento è quindi a Roma: dal 21 al 28 novembre al Nuovo Cinema Aquila e, dal 24 al 26, al Cinema Farnese con la rassegna internazionale e gli incontri sulla scrittura per cinema e tv. Il resto, come spesso accade al cinema, lo farà il buio in sala.
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