"Sbilanciamoci" contro le spese di guerra: il pacifismo e un Parlamento in mimetica
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"Sbilanciamoci" contro le spese di guerra: il pacifismo e un Parlamento in mimetica

Più di 22 sono i milioni che abbiamo incassato, dalla Russia, tra il 2015 e il 2020 dalla vendita di armi leggere, mitragliatrici e qualche decina di blindo denominati Lince, che magari ora sono usati nella guerra in Ucraina

"Sbilanciamoci" contro le spese di guerra: il pacifismo e un Parlamento in mimetica
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3 Aprile 2022 - 20.39


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Globalist si è “sbilanciato” da tempo. Contro l’aumento delle spese militari. O meglio, anzi peggio, visto i tempi che corrono, contro le spese di guerra. A supportare questa scelta di campo, quattro riflessioni di grande pregnanza.

Quella “dimenticanza” sospetta.

Il primo contributo è di Giulio Marcon, già parlamentare di Sinistra Italiana, uno che di spese militari ne sa come pochi. Scrive Marcon nel suo editoriale su Sbilanciamoci.info: “Chi aggredisce i pacifisti contrari all’invio di armi in Ucraina fa finta di dimenticare che i russi combattono anche con armi che arrivano dall’Italia. Da sempre i pacifisti si battono per limitare il commercio di armi. La Camera invece vuole portare al 2% del Pil la spesa militare, una vergogna.

80 sono i milioni che mandiamo ogni giorno a Mosca per comprare il gas russo: più di 2 miliardi e mezzo dall’inizio della guerra. Più di 22 sono i milioni che abbiamo incassato, dalla Russia, tra il 2015 e il 2020 dalla vendita di armi leggere, mitragliatrici e qualche decina di blindo denominati Lince, che magari ora sono usati nella guerra in Ucraina. Dal 2014 ci sarebbe stato l’embargo sulle armi in Russia, fatti salvi i contratti firmati in precedenza.  E così è successo. I vecchi contratti sono andati avanti.

Chi aggredisce i pacifisti perché contrari all’invio delle armi in Ucraina, si scorda puntualmente – e ipocritamente – di ricordare questi fatti: che i russi stanno combattendo anche con armi che arrivano dall’Italia e che stiamo finanziando la guerra di Putin, grazie all’acquisto del gas. Di fronte al business bellico o alla necessità di farsi la doccia calda, la realpolitik la vince sull’afflato etico.

Da sempre i pacifisti si battono -inascoltati- per ridurre le spese militari e limitare il più possibile il commercio di armi. Invece la Camera qualche giorno fa ha votato per portare al 2% del PIL la spesa militare: una vergogna. Il business delle armi non si ferma davanti a nulla. La compagnia Leonardo (la maggiore produttrice italiana di armamenti e per il 30% di proprietà del Tesoro) ha venduto nel 2021 anche caccia da guerra al Turkmenistan (ex Unione Sovietica, governo silente di fronte alla crisi ucraina): si tratta di un paese dove vengono violati i diritti umani, negata la libertà di stampa, praticata la tortura  e il lavoro forzato. Negli ultimi 10 anni il governo del Turkmenistan ha speso 340 milioni in armi italiane.

Ora, questi pochi fatti e questi scarni numeri non vengono mai citati da diversi (non tutti) giornalisti e opinionisti presenti alle trasmissioni televisive o autori di commenti su giornali e settimanali. Fanno gli eroi con la pelle degli altri e si erigono a custodi della morale (bellica): conducono una loro personale “guerra di carta”, mentre nella guerra vera muoiono le persone in carne e ossa. La verità (e l’informazione) sono le prime vittime della guerra…”.

Il j’accuse di Zanotelli

 “Putin è l’aggressore, uno zar che vuole l’impero, e il popolo ucraino va aiutato a difendersi, ma non dimentichiamo che la Russia si è sentita accerchiata dalla Nato e ha dato la zampata. E non dimentichiamo neppure quello che noi abbiamo combinato in Afghanistan e in Iraq. È lo stesso orrore”. Presentando a Napoli il suo ultimo libro “Lettera alla tribù bianca”, edito da Feltrinelli, padre Alex Zanotelli ha espresso la propria opinione su quanto sta accadendo. “La mia angoscia è che andiamo a finire ad una guerra nucleare. Ecco perché ritengo che non ci possa essere più una guerra giusta. Il rischio è che ci giochiamo la vita di homo sapiens”. Padre Zanotelli si è riferito anche alla presa di posizione dei Vescovi tedeschi che si sono detti d’accordo con l’invio delle armi agli ucraini: “Non si fa che gettare benzina sul fuoco. Di questo passo avremo una nuova ’cortina di ferro’ torneremo ai blocchi. Sarò cattivo ma anche questo è voluto: creare il nemico per continuare a fare guerra”.

Oggi si stanno compiendo delle “scelte scellerate”, ha continuato il religioso riferendosi alla decisione del Governo italiano di incrementare la spesa militari: “Il Parlamento ha votato la possibilità di incrementare le spese militari, di arrivare al 2 per cento del Pil. Di passare da 25 a 38 miliardi all’anno in armamenti (mentre in questi anni si sono tagliati 37 miliardi agli ospedali). Scelte scellerate”. E ancora: “Il complesso militare industriale ha in mano il potere. Negli Stati Uniti come altrove. I produttori e i commercianti di armi hanno bisogno del nemico, e se il nemico non c’è va inventato. E allora non possiamo che aspettarci che il conflitto attualmente in corso in Ucraina sia la premessa di altri conflitti, di una nuova cortina di ferro, di un’alleanza Russia-Cina, di nuovi blocchi che inviteranno a costruire nuove armi”.

Un “No” razionale

“Non occorre essere pacifisti per rifiutarsi di portare le spese militari al 2% del Pil”.

A sostenerlo è il sociologo Domenico De Masi, che in un intervento sul Fatto Quotidiano ha argomentato: “Basta essere razionali. Del resto, su 30 Paesi della Nato, 20 non lo hanno fatto. Se proprio s’avesse da compiere uno sforzo militarista, esso dovrebbe servire alla creazione di un sistema difensivo dell’Unione europea, non dei singoli Stati né della Nato, altrimenti si perpetuerebbe la subordinazione dell’Europa all’America e si accentuerebbero le distanze tra i singoli Paesi, mentre l’Ue ha interesse ad attenuarle». 

De Masi ha avvertito che quanto accaduto in Germania già rappresenta una “pericolosa avvisaglia”.. 

“Con un discorso di mezz’ora del cancelliere Olaf Scholz, la Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt negli anni Settanta e proseguita da Angela Merkel è stata drasticamente sostituita da una Zeitenwende che rafforza con altri 100 miliardi gli armamenti della Bundeswehr. Dunque ci ritroveremo presto con una Germania che, sommando i primati economico e militare, accentrerà una potenza esorbitante rispetto a quella di ogni altro membro dell’Unione, con tutte le pericolose tentazioni egemoniche che possono derivarne”, spiega.

Inoltre – scrive ancora  De Masi – la maggioranza degli italiani, consapevole dello “spettro” della guerra atomica “che si aggira per il mondo, è contraria all’aumento delle spese belliche. Stupisce e dispiace, perciò, che il Pd sia diventato un alfiere di queste spese. Del resto, appartengono al Pd gli amministratori delegati delle imprese Leonardo e Difesa Servizi, il direttore generale dell’Agenzia Industria Difesa, il presidente della Fondazione Leonardo e quello della Fondazione Med-Or, tutte organizzazioni legate al settore bellico”.

Il pacifismo in campo.

Da incorniciare lo scritto del professor Stefano Allievi.

“La distinzione troppo manichea tra pacifisti e guerrafondai, tra sostenitori delle ragioni delle armi e oppositori del loro uso, tra chi è favorevole all’aumento delle spese militari e chi vorrebbe una loro diminuzione, rischia di essere fuorviante. Bisogna uscire da questa logica binaria, da questa contrapposizione troppo facile. Non è pacifista chi si dice a favore della pace, ma chi fa qualcosa di concreto per produrre pace. Non è guerrafondaio chi sostiene che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressore anche con le armi, ma chi pensa che le armi siano l’unico modo per reagire all’aggressione russa. E, infine, il problema non è quanto, ma come si spende: se aumentassimo le spese militari per organizzare un esercito di attivisti esperti nelle forme di difesa popolare nonviolenta, di resistenza e di boicottaggio, oltre che nell’uso delle armi come extrema ratio, si tratterebbe di denari spesi bene, utili in tempo di pace e per preparare la pace, oltre che in tempo di guerra.

Chi si considera nonviolento non è un’anima bella che immagina un mondo ideale privo di conflitti, e si sottrae persino all’idea di prendere posizione di fronte ad essi. Il nonviolento vede con chiarezza la dinamica dei conflitti, prende una posizione ferma contro l’ingiustizia, contro l’aggressore e dalla parte dell’aggredito, ma cerca tutti i mezzi possibili per scongiurare un’inutile escalation del conflitto, esplorando le possibili soluzioni precedenti e alternative alla guerra.

Sono un antico obiettore di coscienza. Per me impugnare le armi non è un’opzione. Credo che in molte situazioni (ma ho l’onestà di dire: non in tutte) sia possibile trovare mezzi diversi, e persino più efficaci, per combattere un nemico, un aggressore, rispetto all’uso della stessa forza che sta usando lui. Ma ho sempre pensato che questo valga per la mia coscienza. E non implica che sia sbagliato, o moralmente ingiustificabile, rispondere alla violenza difendendosi anche usando la violenza, da parte di chiunque. Tanto meno presuppone una superiorità morale di chi rifiuta di combattere, rispetto a chi sceglie di lottare: al contrario, bisogna riconoscere la virtù o il coraggio di chi si ribella all’imposizione, pagandone il prezzo, in qualsiasi modo lo faccia.

Credo che di fronte a un’aggressione plateale e ingiustificata come quella russa nei confronti dell’Ucraina sia necessario prendere una posizione chiara ed esplicita a fianco dell’Ucraina. Questo, da fuori, può essere fatto in tre modi, tra loro compatibili e non mutuamente escludentisi:

  • a) inviando armi a chi ritiene di dover combattere contro la prepotenza dell’esercito russo, costringendolo a trattare da una posizione di non totale asservimento e dunque debolezza della parte aggredita;
  • b) aiutando la popolazione civile con supporto materiale e morale, come fanno le Ong e le organizzazioni di cooperazione impegnate nella risposta all’emergenza umanitaria, ma anche come ha fatto l’Unione Europea imponendo sanzioni e sequestrando patrimoni di sostenitori del regime russo, e boicottando attivamente le istituzioni dell’aggressore, come fa Anonymous;
  • c) aiutando tutte le persone sfollate a trovare una nuova casa a casa nostra. Non fare nulla, tanto più in nome del pacifismo, non è accettabile.

Nessuna opposizione alla guerra è credibile se non si paga un prezzo personale e non si attiva una testimonianza diretta. Chi combatte come partigiano lo fa costruendo la resistenza armata, e chi vuole sostenere la resistenza armata senza combattere in prima persona, anche per non allargare il conflitto ad altri fronti, lo fa inviando armi. Chi combatte usando l’arma economica e la moral suasion, lo fa con le risoluzioni dell’Onu, sanzioni che producono un costo anche su chi le dichiara, l’isolamento internazionale dell’aggressore, il supporto al dissenso interno, la promozione di tavoli di trattativa che manifestino un sostegno attivo all’aggredito, aprendo tuttavia a soluzioni praticabili per terminare il conflitto prima possibile, riducendo le sofferenze della popolazione civile e cercando di limitare quelle dei soldati di ambo le parti. Chi aiuta i profughi a trovare una sistemazione, manifestando così concretamente la propria solidarietà, combatte per così dire su un fronte interno, alla propria coscienza e al proprio Paese.

Ma forse si può fare un passo ulteriore. I cittadini comuni che vogliono sostenere la causa dell’aggredito in maniera pacifica non hanno altra arma che se stessi. Possono manifestare sostegno alle scelte fatte dai propri governi, anche se implicano un costo pure per sé. Possono impegnarsi attivamente per promuovere discussione e consapevolezza, senza abdicare mai al dovere di sostenere le ragioni dell’aggredito contro l’aggressore: in maniera equilibrata, ma non equidistante. Possono finanziare gli aiuti personalmente, o attivarsi direttamente nella solidarietà e nell’ospitalità. Ma credo che potrebbero fare anche altro.

Siamo contro il conflitto? Ci crediamo davvero? Siamo pronti a pagare un prezzo, a fare dei sacrifici, per questo? Siamo, davvero, credibilmente, contro la guerra e a favore della pace? Testimoniamolo. La sola altra arma che abbiamo – se vogliamo che tacciano altre armi – è il nostro corpo. Usiamolo: non in alternativa alle altre forme di lotta e resistenza, ma al contrario in collegamento e in collaborazione con esse – come un’arma ulteriore a disposizione dei resistenti e, perché no, dei governi. Andiamo a praticarla, questa solidarietà, questo impegno attivo contro la guerra e contro l’ingiustizia: con una grande marcia della pace (ma non a casa propria: troppo facile!) che coinvolga milioni di cittadini europei, che si mettano in cammino verso l’Ucraina, e poi verso la Russia (ma anche dentro l’Ucraina, e dentro la Russia, per quanto possibile). In maniera organizzata. Sostenuti dalla logistica pacifica dei governi e delle organizzazioni della solidarietà transnazionale. Ma disposti a correre dei rischi, come li corre chi combatte. Mettendo in conto la possibilità di essere attaccati: e non fermandosi al primo morto, come non lo fa la resistenza armata. Sfidando le bombe con la civiltà e la forza del dialogo e della testimonianza personale, ma moltiplicata per milioni: una pacifica forza di interposizione, un impegno attivo ma non bellicista e belligerante. Non i caschi blu, ma nemmeno le bandiere bianche di chi si arrende. Il solo pacifismo moralmente accettabile, perché assunto in proprio, non scaricato sulle spalle e sulla pelle degli altri”…

Quattro riflessioni. Quattro buone ragioni per essere sempre di più a “sbilanciarci”. 

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