Dal corteo del Primo Maggio a Roma, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sferra un attacco frontale al governo Meloni, accusando l’esecutivo di vivere scollegato dalla realtà e di alimentare una narrazione completamente distante dalla condizione del Paese reale. “Non so se il premier si riferisca al suo salario, non so di quale salario stia parlando: se va in mezzo alla gente vede che non arriva alla fine del mese”, ha dichiarato con tono sarcastico e indignato, replicando alle recenti affermazioni di Giorgia Meloni sulla presunta crescita dei salari reali in Italia.
Secondo Landini, il governo si è rinchiuso in un palazzo ovattato, cieco di fronte alle difficoltà quotidiane che milioni di lavoratori e famiglie affrontano. “Non so dove vivono loro, non so in quale palazzo si sono chiusi”, ha denunciato, evidenziando come l’aumento dei salari sbandierato dalla premier sia una pura illusione propagandistica, che non trova riscontro né nei dati reali né nelle testimonianze dirette dei cittadini.
Ma le critiche del leader sindacale non si fermano qui. In vista dell’incontro dell’8 maggio sulla sicurezza sul lavoro, Landini accusa il governo di aver trasformato ogni confronto in una messa in scena: “Agli incontri andiamo sempre, però bisogna che si cambi perché finora sono stati finti. Basta con la comunicazione di decisioni già prese. Modelli di confronto così non servono a nulla”.
Una bocciatura netta dell’approccio dell’esecutivo, incapace – secondo la Cgil – di instaurare un vero dialogo sociale e di affrontare con serietà le emergenze che attanagliano il Paese: dal lavoro precario alla sicurezza, dalla sanità alla tenuta del potere d’acquisto. “È ora di smetterla con la propaganda, è il momento di risolvere i problemi”, ha incalzato Landini, chiedendo che gli incontri si trasformino finalmente in vere trattative, capaci di portare soluzioni concrete.
La distanza tra Palazzo Chigi e le piazze sembra oggi più evidente che mai. E la voce di Landini, tra le migliaia del corteo romano, si fa portavoce di un malessere profondo, che la propaganda governativa non riesce più a mascherare.