Domenica 22 giugno gli Stati uniti hanno bombardato gli impianti nucleari iraniani a fini civili di Fordow, Natanz e Isfahan, affiancandosi così ad Israele.
Tutto era cominciato il 13 giugno, con le prime bombe israeliane su Teheran, ovvero su un Paese membro delle Nazioni unite: fra l’altro, da subito viene “chirurgicamente” abbattuto un edificio di quattordici piani nel quartiere residenziale di Shahid Chamran (non proprio un obiettivo militare) provocando in questo modo la morte di sessanta persone tra cui venti bambini, compresi alcuni neonati.
Nell’Iran violato, a oggi si contano circa seicento vittime, quasi tutti civili, in quella che si presenta come una grande e criminale operazione di distrazione di massa. Dopo i delitti commessi a Gaza, ha scritto Laura Basile, il premier israeliano Netanyahu «lo credevamo finito, abbandonato dalle stesse lobby della guerra, delle armi, di Israele. Le invettive della maggioranza politica e dello spazio mediatico, inesistenti in precedenza, ci avevano fatto ben sperare. Invece ha di nuovo mischiato le carte con un’azione annunciata da anni: l’attacco all’Iran», e ora “bullizzando” l’ondivago Trump, inducendolo a intervenire direttamente: Trump, che ai suoi elettori aveva promesso «la fine dei conflitti». Quanto all’Europa, a Bruxelles così come a Berlino sanno che Israele sta ponendo mano «al lavoro sporco», e lo appoggiano.
Netanyahu, uno di noi
Proprio brandendo la Carta delle Nazioni unite il regime sciita di Khamenei, in quanto Paese aggredito, d’ora in poi potrebbe legittimamente avvalersi di armi nucleari. Ma il punto è anche un altro poiché, in questo drammatico momento, l’opinione pubblica israeliana si rivela in larga maggioranza favorevole alla guerra, allo sterminio dei palestinesi, all’irresponsabile attacco a un Paese sovrano come l’Iran e al suo peraltro discusso regime; quel regime che, proprio a causa dell’offensiva israeliana «ora non può permettersi di capitolare». Lo ha scritto Gideon Levy, un ebreo, puntualizzando che questo gioco al massacro, pericoloso per tutti, «avrebbe potuto essere evitato con la diplomazia. Ma Netanyahu aveva fretta di procedere, per evitare i processi che lo attendono. Purtroppo la maggior parte degli israeliani sembra aver deciso di farsi ingannare dal premier e dal suo governo».
Sta a significare che in Israele l’Iran è percepito dalla popolazione come una minaccia a prescindere dal suo programma nucleare, quel sentimento che rende accette le bombe su Teheran e la mattanza di civili inaugurata da Netanyahu. Insomma, un pericolo analogo a ciò che per i russi rappresenta l’espansionismo guerrafondaio della Nato e della lobby delle armi, giunti “ad abbaiare”, per dirla con Papa Francesco, “sotto le mura del Cremlino”.
Entrano poi in risonanza gli interessi di alcune grandi potenze economiche e militari come la Russia e la Cina (l’80 per cento del petrolio persiano va a Pechino), e come tutto questo evolverà è arduo prevederlo. Diremo allora che Netanyahu e Trump bombardano illegalmente gli impianti e le case degli iraniani, disdegnando il diritto internazionale e la carta dell’Onu; attaccano cioè le installazioni nucleari civili di un Paese che, a differenza dello Stato ebraico, è parte integrante del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) sottoscritto nel 1970 da molti Paesi ma non da Israele.
Sui giornali italiani si legge intanto di uranio sempre più arricchito e di un “Paese-canaglia” ormai vicino all’atomica. Non è Israele – che di queste bombe già ne possiede segretamente e indebitamente più di un centinaio, pronte per essere caricate su navi, aerei e vettori terra-terra – ma l’Iran.
Per Benjamin Netanyahu il regime di Khamenei è prossimo all’atomica, e lo lamenta da trent’anni… Viceversa, per l’intelligence americana «al momento l’Iran non sta conducendo attività legate alle armi nucleari» (lo si legge in un rapporto ufficiale del 22 maggio scorso ai membri della Commissione esteri della Camera del Congresso statunitense). Il capo degli 007 Tulsi Gabbard queste cose le ha ripetute due giorni prima dell’attacco Usa, subito “bacchettata” da Trump (e la signora Gabbard ha dovuto chinare il capo).
Ci vuole un fisico bestiale
Oltre che i poeti, i santi e i navigatori in Italia sembrano abbondare gli ingegneri nucleari. Massimo Zucchetti è per davvero uno del mestiere, lui insegna al Mit di Boston, è tra i massimi esperti al mondo della fusione termonucleare controllata ed è stato più volte tra i componenti delle missioni Onu-Aiea (l’agenzia internazionale per l’energia atomica) di verifica del rispetto dei trattati di non proliferazione nucleare. “Bomba atomica”?, “uranio arricchito”?, «In ottant’anni la tecnologia nucleare bellica ha fatto molti passi avanti bimbi belli, non si parla più di “bombe atomiche” come ai tempi di Oppenheimer, ma di ordigni come minimo a tre stadi fusione-fissione-fusione termonucleare.
La “bomba atomica” vecchio stile è solo un innesco per le moderne bombe. E per queste non serve una bomba all’uranio, ma al plutonio weapons-grade a implosione. Quindi, tutte queste beghe sull’arricchimento dell’uranio iraniano sono senza senso» perché al momento in Iran «non c’è un grammo di plutonio weapons-grade». E Zucchetti assicura che i controlli «sono molto stretti». Segnala poi che in via teorica «sarebbe possibile la fabbricazione di una bomba all’uranio arricchito al 90 per cento», ma da settant’anni non le fa più nessuno «e l’Iran è lontanissimo anche da questo». Ovviamente chi governa, negli Stati uniti come in Israele, «sa bene queste cose, e comunque lo Stato ebraico non ha mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione (Tnp): non vuole controlli», dicono, per motivi di sicurezza. In compenso, Israele non risparmia «castronerie come “erano a due settimane dall’avere una bomba” o come “ci sentivamo minacciati”, e persino “bombardiamo per la liberazione delle donne…”»
Al lupo. Anche se il lupo non c’è…
Che dire. Nel 2003 il leader laburista britannico Tony Blair, su pressione americana, disse allarmato che in Iraq Saddam Hussein era ormai in possesso di armi chimiche di distruzione di massa. Una menzogna volta a giustificare l’invasione del territorio iracheno da parte degli Stati uniti, con l’aiuto britannico. Quella guerra durò quasi nove anni e provocò la morte di almeno 700mila civili, a sommarsi con qualche decina di migliaia di militari e con il sostanziale impaludamento degli aggressori. Negli anni a seguire da quelle parti andò sempre più affermandosi il movimento terrorista dell’Isis, acronimo di “Stato islamico dell’Iraq e della Siria”.
Le conseguenze di questo scellerato attacco all’antica Persia – molto lontana dagli Stati uniti e molto vicina all’Europa – potrebbero essere catastrofiche, come già in Iraq e più recentemente in Afghanistan, là dove, dopo vent’anni di “esportazione della democrazia”, i talebani governano al posto dei… talebani. Quanto alla vicina Libia, deposto Gheddafi ora comandano altri “colonnelli” e siamo al caos tribale.
I nostri apprendisti stregoni vogliono stabilizzare o destabilizzare? Siamo sicuri che le politiche di pace passino per questo modo infame di fare la guerra, senza più patti né regole?