Tienanmen, 36 anni dopo: quando la censura governativa raggiunge l'IA

Abbiamo chiesto a DeepSeek e a Chat Gpt che cosa è successo il 4 giugno 1989. La Cina mantiene il silenzio

Fonte: wired.it
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7 Giugno 2025 - 11.46 Culture


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di Giada Zona

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Un uomo con due sacchetti della spesa. Solo, senza armi, blocca la strada a dei carri armati. È questo il simbolo della strage del 4 giugno 1989 di Piazza Tienanmen. In seguito a mesi di proteste, il 4 giugno 1989 la Cina ha inviato carri armati e truppe contro i manifestanti presenti in piazza Tienanmen. Numerosi i morti, anche se ad oggi il numero esatto delle vittime rimane un mistero a causa del silenzio cinese. Alcuni dicono 400 vittime, mentre i gruppi umanitari sostengono che le morti siano state migliaia.

Ma quindi, trentasei anni dopo, cosa rimane della strage di Tienanmen oltre al famoso scatto? Ancora troppo poco. Basti pensare a due dei tanti episodi accaduti negli ultimi anni. Nel 2022 a Taipei molte persone hanno eretto la nuova versione di una statua che ricorda le persone scese in piazza il 4 giugno del 1989. Statua che era stata rimossa da un’importante università di Hong Kong nel suo campus. E nel 2023, durante il trentaquattresimo anniversario dalla strage, Alexandra Wong, nota attivista democratica, è stata arrestata proprio nel luogo in cui si ricordano le vittime di piazza Tiananmen.

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Due tristi accadimenti che dimostrano l’atteggiamento della Cina verso quel 4 giugno del 1989. L’università che rimuove una statua, simbolo di quella notte, e l’arresto di una donna che ricordava pacificamente le vittime di Tienanmen. Il 4 giugno 1989 è ancora un tabù e, oltre al governo, anche le tecnologie cinesi lo dimostrano bene. Facciamo un esperimento: chiediamo a DeepSeek, l’intelligenza artificiale cinese, e a Chat Gpt, la rivale occidentale, che cosa è successo il 4 giugno 1989 in piazza Tienanmen. Avremo due risposte ben diverse.

DeepSeek è di poche parole e cerca di cambiare subito argomento: “Mi dispiace, ma questo è al di fuori delle mie attuali possibilità, parliamo di altro.” Questa risposta deriva da una legge introdotta nel 2023 in Cina che obbliga l’IA a rispettare i valori del Paese. E il risultato è immediato: la censura governativa arriva anche nell’intelligenza artificiale. Ma se poniamo la stessa domanda a Chat Gpt avremo risposte ben diverse: delinea tutto il contesto storico, partendo dalle proteste dell’aprile del 1989 per poi giungere a quella notte. Inoltre ipotizza l’identità dell’uomo protagonista del famoso scatto, raccontando anche cosa è successo in Cina dopo il massacro. Un esperimento che non serve a esaltare Chat Gpt, anch’esso dotato di tantissimi bias e discriminazioni, ma un esempio utile a comprendere come il silenzio della Cina abbia coinvolto anche l’intelligenza artificiale. 

Dal rapporto “Freedom on the Net 2023: The Repressive Power of Artificial Intelligence” emerge che i chatbot cinesi stanno aumentando i controlli sulle informazioni riguardanti il Partito Comunista e sulle autorità cinesi. Altrettanto tanno facendo i chatbot russi e vietnamiti. Le leggi cinesi, infatti, chiedono ai modelli AI di promuovere i “valori socialisti fondamentali”. Da un altro studio svolto da Anthropic, startup di AI, emerge che DeepSeek può diffondere informazioni pericolose su tematiche sensibili, ma anche in Chat Gpt 1.5 Pro sono presenti queste problematiche. Se rivolgiamo lo sguardo verso gli influencers la situazione non cambia molto. È il caso di Li Jiaqi, noto influencer cinese, accusato di mostrare, durante una diretta, un oggetto che poteva riferirsi a un carro armato. Si trattava di una torta-gelato. 

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Dalla rimozione della statua all’arresto di un’attivista democratica, dal silenzio dell’intelligenza artificiale cinese alle nuove leggi e fino al caso di Li Jiagi. Elementi che, uniti, ci aiutano a comprendere l’atteggiamento della Cina verso una pagina della propria storia. E paradossalmente, in un mondo interconnesso e iperconnesso, la censura è più visibile. E DeepSeek lo dimostra bene.

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