La Difesa sui caccia F-35 se la canta e se la suona
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La Difesa sui caccia F-35 se la canta e se la suona

Qual è la realtà sui costi del programma F-35? Le puntualizzazioni di "Taglia le ali alle armi!" all'audizione alla Camera del generale De Bertolis. I conti non tornano.

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8 Febbraio 2012 - 09.04


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Ancora una volta, dopo l’audizione in Commissione Difesa del Generale De Bertolis, Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, la campagna “Taglia le ali alle armi” parla si “opacità dei dati presentati a riguardo del programma Joint Strike Fighter dei caccia F-35”. Un tipo di comunicazione (sia al Parlamento che all’opinione pubblica) inaugurato dal Ministro-Ammiraglio Di Paola con una continua opera di “informazione a senso unico” tramite televisioni e giornali amici.

Il Ministero della Difesa e i fautori senza ripensamenti dell’F-35, è l’accusa che potrebbe interessare anche il Parlamento, non possano essere le fonti principali sui dati relativi a questo programma. Controprova? La questione delle “penali inesistenti”. Tutto ciò mentre tutti i partner e perfino gli USA ridimensionano le partecipazioni “al JSF”, continua l’atto di accusa. Ma noi restiamo ai fatti.
L’audizione del Generale De Bertolis, fa saltare la “seconda foglia di fico” (dicono i pacifisti) sul ritorno occupazionale.

“Le 10.000 unità impegnate per il programma Joint Strike Fighter degli F-35 andranno a rilevare le 11.000 unità per l’Eurofighter. Ma si parte da un minimo garantito, sperando che con la prosecuzione dell’attività si avrà un indotto superiore anziché inferiore”. Aritmetica dice, 1000 posti di lavoro in meno, ma sperando nel futuro. Questa scelta -denunciano i promotori della campagna anti-non porterà alcun posto di lavoro in più anzi li vedrà diminuire, con una spesa dello Stato di miliardi di euro.

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Per comprendere i numeri occorre ricordare (fonti sindacali) che gli occupati totali nel settore aeronautico Finmeccanica a fine 2010 erano 12.604 unità e che pochi mesi fa un accordo aziende-sindacati ha previsto una riduzione di ulteriori 747 unità rispetto a fine 2010, portando l’intero organico del settore aeronautico a circa 11.900 persone, di cui solo 1200 stabilmente impegnate per l’Eurofighter. Questi i fatti, e il resto sono proiezioni, speranze, peraltro non supportate da alcuna documentazione.

Oggi l’accordo maggiore riguarda la partecipazione italiana nella costruzione delle sole semi-ali per un totale di 790 aerei. Una cifra già ridotta rispetto agli iniziali 1.215 aerei ma che è ancora minore se consideriamo i contratti che sono stati effettivamente già firmati ufficialmente e che prevedono per Alenia Aeronautica la produzione di 200 ali. Il tutto perché il JSF non è un programma come l’Eurofighter che garantisce un ritorno in base agli investimenti. Una sterzata verso co-produzioni con l’industria statunitense.

L’Italia avrebbe già ordinato i primi tre aerei, appartenenti al VI lotto di produzione. In realtà secondo quanto risulta alla campagna (e per le procedure consolidate di acquisizione del programma) sia il contratto d’ordine che la relativa quotazione fatta da Lockheed Martin non dovrebbero ancora essere avvenuti e quindi confermare tale acquisto o dare dati di costo definitivi è quantomeno esagerato. Anche perché si tratterebbe di un acquisto fatto mentre infuria la polemica sull’intera partecipazione al programma.

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Una scelta dalla tempistica sospetta. Basare le stime di costo complessivo solo su questo lotto (per il quale possono esserci accordi particolari ed eventuali compensazioni negative per il futuro oppure nel quale mancano i costi dei propulsori) è poi un errore che continua a confermare una certa opacità ed un certo pressapochismo. Come è possibile che si vada a spendere meno degli Stati Uniti? I costi -certificati e sicuri- dei primi lotti di produzione USA portavano a fatture di 130 milioni di euro per velivolo, non di 80 milioni come detto oggi.

E ciò vale anche per i costi di acquisto a regime che il generale De Bertolis fissa in 55 milioni di euro: addirittura inferiori a tutte le stime fatte inizialmente, che puntualmente sono cresciute moltissimo per tutti i partner senza smentita. Ricordiamo poi che per legge le aziende statunitensi produttrici di armamenti non possono vendere agli alleati ad un costo minore di quello previsto per il Pentagono. Ancora una volta numeri bizzarri e “creativi” che andrebbero confermati con documentazione ufficiale.

La scorsa settimana, sempre in audizione alla Camera, il direttore degli armamenti aeronautici del Ministero della Difesa Generale Esposito aveva quantificato in circa 14 miliardi di dollari (di cui 6 per la costruzione delle ali) i ritorni industriali del programma per l’Italia citando un costo ad aereo di circa 70 milioni di dollari. Probabilmente nelle accademie militari si insegna strategia e non a far di conto perché con questi dati l’Italia avrebbe davvero fatto un affarone con la partecipazione al programma F-35.

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Secondo i dati forniti i 131 aerei previsti ci costerebbero solo 9,17 miliardi di dollari a fronte di una ricaduta in Italia sul piano industriale di ben 14 miliardi di dollari! Un miracolo, quindi, che ci permetterebbe di “fatturare” come paese l’equivalente del costo complessivo di 200 caccia bombardieri, secondo il listino prezzi del Gen. Esposito, realizzando solo l’assemblaggio degli F35 che acquistiamo. Comportamento grave e reiterato quello di fornire al Parlamento e all’opinione pubblica dei dati ballerini.

Non ci troviamo nel campo delle opinioni e chi sta gestendo la partecipazione italiana al Joint Strike Fighter non può non conoscere, o peggio, occultare ai parlamentari italiani, i dati e le informazioni utili ad una scelta consapevole da parte del nostro Parlamento. Dati che negli USA sono di assoluto dominio pubblico, così come in altri paesi partner. Il piano canadese prevede una spesa di 150 milioni di dollari a velivolo. Quesiti legittimi: chi da i numeri (il senso anche lato), chi conta balle, e infine, se mai fosse, chi ci guadagna?

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