“Ribadisco con convinzione tutto ciò che ho sostenuto nel mio intervento e rivendico il mio diritto a poterlo pubblicamente affermare”. Il pubblico ministero di Palermo, Nino Di Matteo, non è intenzionato a fare alcuna marcia indietro all’indomani della “bacchettata” del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli. Ieri il numero uno del sindacato dei magistrati aveva criticato gli interventi dei due magistrati della Procura di Palermo, Di Matteo e Ingroia, alla festa del “Fatto quotidiano”.
“Tutti i magistrati, e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità, cioè da comportamenti politici”, aveva detto Sabelli. A queste parole ha replicato, oggi, Di Matteo, che fra l’altro è anche presidente dell’Anm di Palermo, carica che dice di voler mantenere nonostante il braccio di ferro coi vertici nazionali. E in proposito, Di Matteo aggiunge “Spero che in futuro l’Anm concentri finalmente la sua attenzione su quelle situazioni, ben diverse da quelle oggi contestate a me e al collega Antonio Ingroia, che realmente rischiano di compromettere l’immagine di imparzialità delle toghe e la loro effettiva indipendenza dalla politica e da ogni altro potere”.
Come dire, l’Anm farebbe bene e meglio si occupasse di chi fa ben altro che non la legittima espressione del pensiero. La contrapposizione era nell’aria da tempo, da quando la conclusione dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia aveva alimentato le prime polemiche contro i magistrati di Palermo. Con i pubblici ministeri che reclamavano protezione e solidarietà di fronte agli attacchi della politica, e il sindacato dei magistrati piuttosto tiepido nella difesa. Soprattutto dopo che i risultati dell’indagine erano stati oscurati dalla polemica sull’origine e l’uso delle intercettazioni nelle quali compare la voce del Presidente della Repubblica, ma incidentalmente. Questione che non c’entra niente con la presunta trattativa di vent’anni fa, ma ha finito col prevalere nel dibattito politico, influendo sulle posizioni dell’Associazione Nazionale Magistrati. Il suo presidente, Rodolfo Sabelli, pubblico ministero della Procura di Roma tra i fascicoli ha quello sulla presunta loggia segreta ribattezzata P3, con imputato Marcello Dell’Utri; quel Dell’Utri che ritorna nel caso della trattativa Stato-mafia.
Nell’anniversario della strage di via D’Amelio, Sabelli era andato a Palermo per la manifestazione organizzata dall’Anm locale presieduta da Nino Di Matteo, uno dei titolari dell’indagine, lo stesso che,alla festa de “Il Fatto” aveva lamentato il «silenzio assordante» dell’Anm nazionale e del Csm di fronte agli attacchi subiti dai Pm palermitani. A Palermo, Sabelli si era limitato ad un appello al «doveroso impegno solidale di tutte le istituzioni per l’accertamento della verità», passaggio considerato troppo generico da molti.
Nei giorni a seguire, i malumori sono aumentati, sempre per i silenzi di Anm. Accusa respinta da Sabelli, ma senza convincere Di Matteo e Ingroia. E i rapporti tra i pm di Palermo e l’associazione di categoria sono rimasti freddi e tesi. E freddi e tesi continuano ad essere, e a provarlo è l’intervento ultimo di Di Matteo.