Succede davvero. Alla scuola media Besta di Bologna 22 alunni, tra gli 11 e i 15 anni, sono raccolti in una classe prima secondo un criterio a prima vista incredibile: nessuno di loro è italiano. Il dirigente dell’istituto accampa una ragione debole: il singolare raggruppamento è stato costruito in extremis in agosto, raccogliendo ragazzi arrivati proprio allora in Italia. Come tutti sanno o possono intuire, in qualsiasi scuola di qualsiasi segmento del nostro sistema di istruzione in quel mese è invece senz’altro possibile rimettere mano alle classi, anche su quelle formate in precedenza. L’assegnazione dei docenti, così come la pubblicazione dei libri di testo che i ragazzi devono acquistare, sono atti successivi a quel periodo.
I Cobas bolognesi affermano per altro che nella classe sarebbero in realtà confluiti non soltanto studenti di recente migrazione, ma anche altri studenti stranieri, già iscritti nella scuola e che addirittura altri potrebbero essere aggiunti anche ad anno scolastico in corso. Se questo fosse vero, quella classe si configurerebbe come evidente “contenitore” per soli stranieri, con bisogni speciali, a cui sarebbe destinata una didattica altrettanto speciale, a prescindere da età e situazioni e condizioni individuali. Se così fosse, è altrettanto evidente che correremmo un pericolo immenso: creare un precedente che utilizza come risposta alle difficoltà di integrazione la rinuncia all’integrazione stessa, sostituita dalla pratica quotidiana della separazione, prodromo e conseguenza di una mentalità discriminante.
Di fronte a questa prospettiva, non ci rassicurano per nulla le parole del dirigente scolastico, Emilio Porcaro, che afferma: “Fanno diverse materie con i compagni di altre classi, mangiano insieme e partecipano alle uscite con gli altri”.
Ma spezzare il pane insieme non dovrebbe essere neppure considerata una garanzia minima, nella scuola della Costituzione. Va detto anche che nel 2008 i linguisti di Sig (Società italiana di glottologia), Sli (Società di linguistica italiana), Aitla (Associazione italiana di linguistica applicata) e Giscel (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica) definirono [url”assolutamente inutili le classi-ponte”]http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-7/linguisti-contro/linguisti-contro.html[/url] allora proposte dalla Lega Nord, con una mozione che, se non altro, aveva il pregio della chiarezza, dal momento che parlava di “discriminazione transitoria”, attribuendole caratteristiche di positività, che le citate associazioni stroncarono sul piano scientifico e pedagogico, mentre buona parte dell’opinione pubblica considerava dannose sul piano sociale e ideale, della democrazia e dell’inclusione.
Va detto anche che il Coordinamento dei presidenti dei Consigli di Istituto mette in evidenza un aspetto della questione solo apparentemente tecnico, perché in realtà fa comprendere come siano state violate funzione e prerogative degli organi collegiali e della democrazia scolastica: “Secondo il Dirigente dell’Istituto si tratta di un “progetto”, la cui approvazione è quindi di competenza del solo Collegio dei Docenti.
In realtà la formazione delle classi non è affatto un “progetto”. Il Testo Unico sull’istruzione è molto chiaro al riguardo, ed affida questa funzione in primo luogo proprio al Consiglio d’Istituto al quale spetta definire “i criteri generali relativi alla formazione delle classi” (D.Lgs. 297/1994, art. 10 c. 4). E va comunque anche ricordato che i progetti – in ogni caso – devono essere inseriti nel Piano dell’Offerta Formativa, e spetta al Consiglio d’Istituto elaborare gli indirizzi generali del P.O.F. ed adottare il testo predisposto dal Collegio dei Docenti (Dpr 275/1999 art. 3 c. 3). Non avere sottoposto preventivamente la questione al Consiglio d’Istituto ci pare dunque un vulnus che si sarebbe dovuto e potuto evitare.” Una osservazione da tenere in debita considerazione soprattutto in giorni in cui è stato sventato [url”l’ennesimo attacco”]http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/14/la-scuola-in-mano-al-governo-il-disegno-di-legge-di-cui-nessuno-parla/777285/[/url] alle prerogative degli organi collegiali.
Chiaramente contrarie a quanto messo in atto dalla scuola Besta i ministri Carrozza e Kyenge. Stupefacenti invece le dichiarazioni di Francesca Puglisi: “Non bisogna accontentarsi dei vecchi modelli ma diffondere le buone pratiche”. Alle obiezioni di merito e metodo dei docenti universitari, il senatore del Pd risponde: “Oltre a chiedere agli accademici bisogna chiedere agli insegnanti che lavorano sul campo”.
Impressiona poi ogni coscienza democratica la conclusione della dichiarazione: “è dall’esperienza degli insegnanti che potrebbe partire una nuova primavera per la scuola italiana.
È necessario un nuovo movimento che metta in moto pensiero educativo e nuove energie, e non avevo dubbi che questo movimento sarebbe partito da Bologna”. In effetti, una nuova primavera è partita da Bologna, e non solo per ragioni di calendario: non si tratta, però, dell’istituzione di classi-ponte, ma del [url”referendum”]http://referendum.articolo33.org/[/url] in cui, il 26 maggio 2013, i cittadini bolognesi si sono pronunciati a favore del finanziamento pubblico solo per le scuole dell’infanzia appunto pubbliche. Del resto in quella occasione proprio lei, Francesca Puglisi, aveva chiesto di votare in senso contrario, per il mantenimento dei finanziamenti alle scuole private, anticipando la repressione di quella primavera con la decisione della giunta bolognese e del sindaco Merola (Pd) di ignorare gli esiti della consultazione popolare.