Rivoluzione di Renzi? La scuola che ci propone è brutta e vecchia

Una professoressa in pensione esprime il suo parere critico nei confronti della così detta rivoluzione di Renzi nella scuola italiana. [Gianfranca Fois]

Rivoluzione di Renzi? La scuola che ci propone è brutta e vecchia
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6 Settembre 2014 - 13.21


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di Gianfranca Fois

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Alla fine dell’anno scolastico 1973-74 il preside comunicò a me, supplente appena laureata, e a tutti gli altri insegnanti la valutazione del servizio. Ebbi ottimo e ne rimasi sorpresa perché non ci speravo, ero stata infatti l’unica supplente a partecipare allo sciopero generale. Erano tempi in cui colleghe venivano denunciate dai presidi per aver lavorato con le proprie classi a ricerche sulla guerra in Vietnam e sulla pace.
Mi è tornato alla mente questo lontano episodio quando ho letto i punti principali del progetto di riforma (la possiamo chiamare così?) della scuola presentato da Matteo Renzi.

Il presidente del consiglio aveva addirittura parlato di rivoluzione, di novità che ci avrebbero stupito e in effetti sono rimasta stupita dalle banalità, luoghi comuni, annunci uguali a quelli pronunciati dai precedenti governi degli ultimi vent’anni e non solo.

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Dopo questa prima impressione sfavorevole ma superficiale ho cercato di fare una lettura più approfondita e a questo punto mi sono veramente indignata. La scuola che il governo ci propone è una scuola vecchia, legata a una visione superata da tempo, quando la scuola era il luogo di formazione delle classi più alte e ogni insegnante insegnava per proprio conto, in modo individualistico.
Invece a partire dal secondo dopoguerra e dalla stesura della Costituzione della Repubblica si sono affermati nel tempo altri principi, più moderni, in linea con i principi didattici e pedagogici più avanzati che hanno fatto sì che i giovani Italiani vengano apprezzati e ricercati dappertutto, che la scuola elementare italiana sia considerata tra le migliori al mondo.

Suona perciò offensivo per chi lavora o ha lavorato nella scuola leggere il titolo “La buona scuola” apposto al documento governativo.

Questo non toglie naturalmente che la scuola italiana, soprattutto negli ultimi tempi, mostri criticità dovute anche a mancanza di risorse e ai cambiamenti veloci del mondo che pongono nuove sfide, criticità presenti anche nei sistemi scolastici europei e americani.

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Nell’impossibilità di un’analisi dettagliata vorrei affrontare solo alcuni aspetti importanti del progetto, dopo aver sottolineato che niente ci viene detto riguardo al ruolo e al fine della scuola.

Anzitutto, proprio in un periodo di gravissima crisi che sta determinando l’abbandono della scuola da parte degli studenti più poveri, non si fanno riferimenti al diritto allo studio, a come rimuovere gli ostacoli economici e sociali al raggiungimento dei più alti gradi dell’istruzione, così come previsto dalla nostra Costituzione, al processo di apprendimento degli alunni e alla necessità di limitarne il numero per classe e così via.

Un corposo numero di pagine è invece dedicato alla valutazione degli insegnanti e al richiamo alla meritocrazia, parola abusata e generica, invocata per la scuola ma non in altri settori né tantomeno nel mondo politico.

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Il modo in cui la valutazione è proposta è molto vago, affidato in sostanza ai presidi. Ho avuto a che fare nella mia carriera scolastica con una quindicina di presidi e posso tranquillamente affermare che solo tre avevano l’equilibrio e la competenza per valutare il lavoro dell’insegnante. E l’avrebbero fatto con difficoltà perché non esistono criteri oggettivi, infatti il lavoro dell’insegnante è determinato da numerose variabili, tipologia della classe, del quartiere e della città o paese in cui si opera e soprattutto dal fatto che l’insegnante oltre a trasmettere conoscenze, lavora in prospettiva per aiutare gli alunni a munirsi di strumenti critici ed a costruire la propria personalità.
Questo lavoro viene svolto non da un singolo insegnante ma dall’intero consiglio di classe che dovrebbe anche dare una valutazione formativa dei risultati raggiunti dal singolo allievo e non numerica, come invece è stato imposto dalla Gelmini.

Insomma la scuola è un sistema complesso in cui si deve intervenire seriamente con competenza e cultura. Allo stesso modo bisogna affrontare il problema degli insegnanti meno motivati e meno impegnati, non creando divisioni fra buoni e cattivi ma tentando di coinvolgere tutti e predisponendo seri progetti di aggiornamento.

Sicuramente è necessaria una riforma che non butti via gli aspetti positivi presenti e innovi con il fine di creare una scuola moderna e democratica che sia luogo di studio e di elaborazione culturale, palestra di confronto fra idee, provenienze sociali, religiose e culturali diverse e che formi cittadini preparati e capaci di pensiero critico e autonomo.

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