La foto di suo figlio Aylan con indosso una maglietta rossa, riverso sulla spiaggia di Bodrum e ormai privo di vita era diventata il simbolo della tragedia dell’immigrazione. I cuori della gente si erano aperti, anche se non per molto. Lo sa bene Abdullah Kurdi, sa che la compassione generata da suo figlio non è stata duratura: “due mesi, poi tutto è tornato come prima”.
“Ho letto cosa ha fatto il vostro politico, Matteo Salvini, e resto stupito che un Paese accogliente come l’Italia gli dia i voti. Che vergogna” ha detto Abdullah in un’intervista a Repubblica. Ha poi continuato: “In Europa si sono alzati i muri e non si permette alle navi con i migranti di attraccare. Chi scappa dalle guerre è ancora abbandonato al proprio destino”.
A chi tenta di entrare via mare in Europa Abdullah dice “di non farlo! Però nessuno mi ascolta, neanche mia sorella: tre giorni dopo il naufragio del 2 settembre 2015, è salita su un gommone per fare lo stesso tragitto dove erano appena morti i suoi nipoti. Ora è in Germania”.
Carola Rackete “è una donna forte, un’eroina. So che è stata anche messa in prigione. Beh, se dovesse servire, sono pronto a farmi arrestare anch’io”. afferma Abdullah, che si definisce “contento” che la nave della ong tedesca Sea-Eye si chiama Alan Kurdi come il suo bambino e annuncia: “mi imbarcherò sulla nave per salvare i migranti. Voglio tendere loro la mano che a me non fu tesa”.
Il racconto di quella notte
“Mi sono messo al timone solo dopo che il turco si è buttato, per tentare di tornare a terra” ricorda Abdullah di quella terribile notte del 2015. “Un’onda ci ha fatto rovesciare. Mia moglie Rehanna non sapeva nuotare, stringeva le mani di Alan e Ghalib, non li mollava neanche mentre affondava. Le ho gridato di lasciare i bambini a me, ma non l’ha fatto. Quelle urla soffocate dall’acqua mi tormentano ancora – racconta – Quando li ho raggiunti, ho provato con tutte le forze a tenerli a galla, ma ero esausto, non respiravo, Rehanna era pesante e rigida come una statua di pietra. Mi sono scivolati dalle mani uno dopo l’altro. Per quattro ore sono rimasto in acqua, nel buio, sperando di affogare anch’io”.
“Ogni volta che vedo un ragazzino con una maglietta rossa – afferma – il cuore mi brucia nel petto. Non c’è giorno che non pensi a Alan, a Ghalib, a mia moglie Rehanna. Il mio unico scopo, adesso, è proteggere i bambini. Ovunque, anche in strada. Quando li vedo sporgersi dai finestrini delle auto, vado a rimproverare i genitori”.
Argomenti: matteo salvini