“C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo…”. Inizia così una delle più belle e significative poesie di Danilo Dolci. Quest’anno si dovrebbero ricordare i cento anni di un uomo che non era nato in Sicilia ma che forse più di ogni altro è stato profondamente siciliano, facendosi innestare la Sicilia nel cuore, condividendo con la migliore Sicilia lotte significative per il riscatto di questa fetta di umanità. Scrivo “si dovrebbero” perché il clima attorno a noi è di quelli che più che ricordare vuole dimenticare e far dimenticare. E probabilmente i cento anni dalla nascita di Danilo Dolci passeranno così, senza una riflessione profonda sul nostro tempo, una riflessione che parta dal suo insegnamento di poeta, di osservatore della società, di non violento.
Ecco, la non violenza, il suo profilo più marcato, sia quando guardava al mondo, sia quando si guardava attorno, lui al centro di un mondo popolato da poveri Cristi oppressi dalla mafia, dal potere che regnava nelle campagne.
Il pensiero a Danilo Dolci, quando leggo che i ragazzi di una scuola siciliana si sono opposti all’idea, contrastata da anni, di dare il nome di Peppino Impastato all’istituto. Come ha detto il fratello di Peppino, l’indice severo e accusatore non va rivolto ai ragazzi, loro sono vittime di “cattivi maestri” pregni di ignoranza, dediti a spargere veleno per compromettere il terreno dove crescono giovani piante. Ha detto bene Giovanni Impastato, io quei ragazzi li voglio incontrare per dire loro quello che probabilmente non sanno, dire di Peppino, dei suoi sogni, di come avesse messo in gioco la vita per opporsi alla mafia, ma anche all’ignoranza, che anche oggi si dimostra spietato killer dei sogni e del domani.
Tra il paese di Peppino e l’abitato di Trappeto che fu di Danilo Dolci ci sono una quindicina di chilometri. L’uno e l’altro, protagonisti di una staffetta civile, guardavano lo stesso mare, si ubriacavano dello stesso odore di zagara, trasformavano in impegno la legittima rabbia di chi mal sopportava l’ingiustizia.
Peppino ben conosceva l’impegno, le parole di Danilo Dolci, omone mite e determinato che in Sicilia era arrivato dalla lontana Slovenia.
Ebbi occasione di conoscere e incontrare Danilo Dolci. Gli chiesi se potevo raggiungerlo a Trappeto per un’intervista da pubblicare su Suddovest, giornale che avevamo messo su ad Agrigento pensando, anche lì, che era possibile passare dai sogni ad una realtà migliore. Quando lo raggiunsi, lo trovai al buio: “Sai, ci hanno tagliato la luce, non abbiamo potuto pagare le bollette….”. E continuammo così, facendoci assistere dalla luna in una lunga chiacchierata. Incontro indimenticabile.
Ecco, potremmo raccontare qui Danilo, con la sua idea dello sciopero a rovescio, con le sue lotte per l’acqua ai contadini, col suo no alla guerra, dire dei tanti riconoscimenti internazionali alla sua idea di mondo. Potremmo raccontare qui Peppino, la sua radio, lo sberleffo a Cosa nostra, le coincidenze tra la sua morte e il destino tragico che si consumava attorno ad Aldo Moro. Potremmo, e invece vorremmo che quei ragazzi che si sono opposti al nome di Impastato, uscissero dall’anestesia per leggere e imparare. Disegnerebbero un quadro diverso del presente, del passato, si regalerebbero sani interrogativi sul futuro.
Per chiudere, per onorare Peppino e Danilo, insieme, mi piace riprendere e riproporre per intero la poesia accennata all’inizio: “C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato. / C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. / C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato”.