Le ombre del passato a volte ritornano, per alcuni. Per altri non se ne vanno mai. Umberto Eco ha sostenuto che certi fantasmi possono rimanere latenti per anni, magari cambiando aspetto, linguaggio o bandiera, ma resteranno per sempre tali e avranno sempre la capacità di riemergere dalle più oscure profondità.
É il caso dei fascismi, o dei neo fascismi, o come li appella lui eterni, i quali sono ancora intorno a noi, “talvolta in abiti civili”, ma che hanno l’abilità di tornare anche senza dover pronunciare mai il loro vero nome.
E se è vero che la Storia si ripete e che dal passato si impara, allora è certo che la nostra Repubblica e questa nostra sgangherata democrazia non abbiano ancora fatto memoria di quanto è successo.
È proprio oggi che cade l’anniversario della Strage di piazza della Loggia, nel cuore di Brescia, quando Ordine Nuovo e alcuni settori dei servizi segreti deviati fecero esplodere una bomba durante una manifestazione antifascista promossa da sindacati e partiti democratici, causando la morte di otto persone e ferendone 102.
Non di certo un gesto isolato, ma parte di una strategia più ampia – quella della tensione, degli anni di Piombo – messa in atto dai gruppi neofascisti del tempo, che per oltre un decennio, fino alla Strage di Bologna, colpirono il paese con atti basati su odio ideologico, razzismo e volontà eversiva al fine di destabilizzare, e poi rovesciare, la Repubblica.
Un drammatico esempio di un più ampio disegno politico che ha scosso l’Italia con attentati e stragi, con depistaggi operati da funzionari eversivi alimentati da un clima di paura per impedire l’avanzata politica della sinistra e dei movimenti popolari. E il neofascismo di quegli anni era perfettamente funzionale a questa strategia, attraverso una “manovalanza” armata, giustificata ideologicamente da un’ossessione anticomunista e da un odio verso la democrazia parlamentare, ritenuta la più debole delle forme di governo.
Nell’ombra e con complicità interne allo Stato, le stragi come quella che ricordiamo oggi non furono semplici atti di terrorismo, ma strumenti politici di – come ha dichiarato questa mattina il Presidente Mattarella – negazione violenta dei valori costituzionali e di libertà.
“Vincere i terrorismi di quel decennio e sventare i piani eversivi è stato un percorso difficile e travagliato, pagato con il sangue da tanti innocenti. Le risorse morali e civili di chi si è battuto dalla parte della libertà e della democrazia hanno prevalso sugli stragisti, i conniventi e i loro complici. E la giustizia, sia pure con ritardo rispetto alle angosciose attese, ora è giunta a una prima sentenza anche sugli esecutori materiali”, ha sottolineato ancora il Presidente. Perché solo dopo decenni da quella strage la giustizia ha individuato i veri colpevoli (anche se molti aspetti della vicenda restano ancora oscuri).
E oggi, a distanza di cinquantuno anni, non abbiamo ancora la possibilità di dirci liberi dalle ombre che sembravano appartenere al passato, con fenomeni forse meno bombaroli, ma di certo non meno preoccupanti. Penso ai gruppi nostalgici che celebrano il 28 ottobre e commemorano Acca Larenzia, Dongo e Predappio ; ai rappresentanti delle istituzioni che non riescono proprio a definirsi antifascisti, nemmeno fosse la più contagiosa delle malattie; ai movimenti radicali che attaccano migranti, membri della comunità LGBTQAI+, giornalisti e intellettuali; ai partiti e alle associazioni ambigue, che evitano di prendere le distanze da una certa simbologia o da un preciso linguaggio; alle reti e i canali online che diffondono contenuti negazionisti, revisionisti e suprematisti, creando l’humus perfetto per la proliferazione di ideali distorti e anticostituzionali.
È il problema della memoria corta, che non vede l’adattamento di questi movimenti ai tempi moderni e pensa che episodi come quello che ricordiamo oggi siano solo eventi si drammatici, ma del passato. Le stragi come quella di Piazza della Loggia, come quella di Piazza Fontana, dell’Italicus e di Bologna sono un monito, sono la prova storica di cosa può accadere quando ci si dimentica della fragilità della nostra giovane democrazia, quando la violenza viene tollerata e addirittura incoraggiata da chi dovrebbe garantire la sicurezza. Quando le stesse istituzioni, facendo buon viso a cattivo gioco, contribuiscono a rafforzare la presenza di queste ombre passate che creano paura e incertezza nella società civile.
Non bastavano allora e non bastano più nemmeno oggi le sentenze, le commemorazioni e le lapidi se non sono accompagnate da una cultura politica consapevole, basata su una memoria storica profonda e a lungo termine.
In Istruzioni per diventare fascisti, Michela Murgia scrive che la democrazia non è un’opinione, ma un comportamento e che la nostalgia verso ideali come quello neofascista si nutrono proprio del disinteresse per la democrazia. Sono movimenti questi che non hanno bisogno di consenso ma di passività, e che per essere fascisti, o neo fascisti, oggi “non serve più la camicia nera. Basta credere che chi comanda debba decidere anche per te”. Perché, continua, “chiedere obbedienza è più facile che chiedere responsabilità”.