Un caso di inaudita gravità ha scosso il carcere di Ferrara: una detenuta transgender italiana, poco più che quarantenne, ha denunciato di essere stata violentata da quattro uomini all’interno della sezione “protetti” dell’istituto penitenziario. I fatti sarebbero avvenuti a fine giugno. La Procura ha aperto un fascicolo per violenza sessuale, al momento contro ignoti, e anche all’interno del carcere è in corso un’indagine interna. La donna è stata immediatamente trasportata al pronto soccorso dopo aver denunciato l’abuso al personale sanitario della struttura.
La detenuta era stata trasferita a Ferrara nel marzo scorso dal carcere di Reggio Emilia, l’unico in Emilia-Romagna a disporre di una sezione dedicata alle persone transgender. Sin dal suo arrivo aveva espresso timori fondati di essere in pericolo, chiedendo di tornare in una struttura più adeguata alla sua condizione. A darne conferma è stata la garante comunale delle persone private della libertà, Manuela Macario, che ha dichiarato al Resto del Carlino: «Dal primo giorno ci aveva detto che temeva di essere violentata. Lo aveva segnalato a me, al garante regionale e alla direttrice del carcere, che aveva chiesto il trasferimento».
Le sue preoccupazioni si sono tragicamente trasformate in realtà. La stessa garante ha denunciato l’assoluta inadeguatezza della scelta di collocare una persona transgender in un carcere maschile privo di strumenti e personale formati per tutelarne l’incolumità: «È una vergogna. Un fatto gravissimo che dimostra l’ignoranza e la cecità di istituzioni che non vogliono o non sanno vedere i diritti delle persone trans».
Quello che è accaduto a Ferrara, però, non è un caso isolato né una semplice “disattenzione burocratica”. È il sintomo di un vento transomofobo che da tempo soffia sull’Europa e sugli Stati Uniti, dalla retorica reazionaria di Viktor Orbán in Ungheria fino alla propaganda tossica di Donald Trump. Un clima ideologico che, dietro l’apparente difesa dei “valori tradizionali”, alimenta odio, marginalizzazione e abbandono istituzionale nei confronti delle persone transgender.
Anche in Italia, dove fino a pochi anni fa sembrava impensabile un simile arretramento sui diritti civili, si assiste a una crescente ostilità politica e culturale contro le soggettività LGBTQIA+. La mancanza di strutture dedicate nelle carceri, l’assenza di formazione per il personale, la minimizzazione sistematica delle segnalazioni di rischio e l’incapacità di rispondere a richieste legittime di protezione sono espressioni concrete di questo arretramento.
La violenza subita da questa donna non è solo un crimine individuale, ma l’esito di una catena di responsabilità collettive e istituzionali. In una società che sta smantellando passo dopo passo le tutele per le persone più vulnerabili, non sorprende che anche chi è sotto custodia dello Stato venga abbandonato proprio da quello Stato che dovrebbe garantire sicurezza e diritti.
Se non si affronta con decisione questa deriva, altri episodi del genere saranno solo questione di tempo.