Scuola pubblica, Gaza e libertà di pensiero: il ritorno del conflitto tra educazione e potere politico

Le proteste per Gaza rivelano la crisi dell’istruzione pubblica, attaccata da trent’anni di politiche aziendaliste e minacciata da un crescente controllo politico e ideologico.

Scuola pubblica, Gaza e libertà di pensiero: il ritorno del conflitto tra educazione e potere politico
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20 Ottobre 2025 - 12.09


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di Dario Spagnuolo

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Qualcuno cerca di ridurre le manifestazioni per Gaza ad un fenomeno locale di qualche esagitato. Le proteste, invece, ci sono state in tutta Europa e in tutto il mondo, persino in Bolivia e Thailandia. La reazione del mondo politico ha una spiegazione semplice: paura. C’è desiderio di futuro, e questo significa che qualcosa sta cambiando pericolosamente per le élites al potere, perché non c’è futuro senza speranza.

Forse queste manifestazioni saranno un fenomeno episodico e bisognerà attendere ancora per una palingenesi, ma quanto accaduto è qualcosa di più di un segnale, e la fuga dalle urne sembra solo il consolidarsi di un sentimento antipartitico, ma non antipolitico.

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Un punto di frizione è nella scuola, da dove provengono, cioè, le migliaia di giovani che hanno invaso le piazze. La strategia è sempre la stessa, attaccare la Scuola pubblica e repubblicana, tacciandola di incapacità, superficialità, faziosità. Tra gli ultimi episodi, quello delle “gite ad Auschwitz”, sconsigliate in quanto sarebbero inutili scampagnate antifasciste. La scuola pubblica, però, non è un’associazione di precettori privati, ma il frutto del disegno costituzionale ed il suo agire discende da questo mandato.

In un celebre discorso del 1950 a difesa della Scuola Pubblica, che evidentemente era minacciata e malvista dalle forze conservatrici anche 75 anni fa, Piero Calamandrei spiegava perché considerasse la Scuola un organo costituzionale. Affermava Calamandrei: la scuola “è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue. […] porta a tutti gli altri organi, giornalmente, battito per battito, la rinnovazione e la vita.” e aggiungeva “la scuola pubblica assicura che ogni voce sia presente, che nessuna verità sia insegnata senza essere anzitutto messa in dubbio nel pacato confronto con le verità opposte, che l’acquisizione dei convincimenti abbia luogo non sotto la pressione di una mentalità dogmatica, ma nello spirito della libera discussione critica […]

È una visione ideale, eppure chi frequenta le aule scolastiche sa bene che non è lontana dal vero perché è nelle aule che milioni di ragazzi imparano a confrontarsi e discutere.

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Lo scontro si è acuito con la chiara presa di posizione a favore di un autentico processo di pace in Israele. È un vero e proprio cambio di paradigma rispetto alla scuola aziendalista, della competizione, dei voti e delle sanzioni, delle tre “i” (impresa, inglese e informatica) e dell’alternanza scuola lavoro. E’ bene precisare che questa impostazione risale agli ultimi 30 anni e non è confortata da nessuna riflessione pedagogica.  Ciò nonostante, ci si è affannati nella costituzione di think tank e nel cooptare qualche specialista per ammantare di una patina di scientificità i nuovi contenuti, casomai cercando di denigrare quelli precedenti, come hanno fatto i consulenti del MIM per don Lorenzo Milani e Tullio De Mauro.

Il tema della pace mette in evidenza tutte le contraddizioni di chi vorrebbe una scuola finalizzata ad addestrare le persone, rispetto ad un consistente e illustre movimento di pedagogisti e pensatori secondo i quali, invece, la scuola deve insegnare a pensare, perché solo la libertà di pensiero consente l’esercizio della democrazia.

Il fremito di indignazione per Gaza, infatti, affonda le sue radici nel pensiero di Maria Montessori, Paulo Freire, Lorenzo Milani, Aldo Capitini, Danilo Dolci: una consolidata sapienza pedagogica, uno dei tesori più preziosi della scuola italiana. A costoro, che appartengono alla “scuola di una volta”, tanto invocata dalla destra e mai rintracciata in nessun documento, si deve il miracolo di un paese strappato all’analfabetismo in circa 50 anni e restituito ad uno sviluppo economico e sociale grazie ad un prolungato periodo di pace.

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D’altronde, tutte le indagini OCSE rivelano che in Italia il problema scolastico maggiore si annida tra la popolazione adulta, per l’elevato tasso di analfabetismo funzionale e di ritorno, ovvero tra coloro che hanno frequentato “la scuola di una volta”, entità misteriosa più volte evocata nelle nuove indicazioni nazionali.

Se proprio si deve trovare un problema, è che negli ultimi 30 anni:

– la spesa per l’istruzione è restata la più bassa tra i paesi OCSE;

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– consistenti finanziamenti sono stati dirottati verso le scuole private, che accolgono oramai un decimo della platea nazionale;

– una miriade di pseudoriforme ha reso sempre più complesso il funzionamento delle scuole.

Suonano così attualissime le parole di Calamandrei che, nel discorso citato, affermava: “Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. […] L’operazione si fa in tre modi: (1) […] Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico.”

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Se ci sono colpe, insomma, non vanno ricercate all’interno della scuola ma nei governi succedutisi alla guida del paese negli ultimi anni.

Le manifestazioni a favore di Gaza, in conclusione, hanno rivelato tutta l’incoerenza dell’attuale proposta di impianto educativo che spaccia l’ideologia per identità e riabilita alcuni tratti della scuola classista ed elitaria che già l’articolo 34 della Costituzione “La scuola è aperta a tutti.” aveva deciso di estirpare. Danno inoltre forza ad una serie di battaglie sindacali che, già dal mese di ottobre, mettono in discussione gli indirizzi che il governo intende dare al sistema di istruzione e formazione.

Intanto, mentre lo scontro si accende, a pagarne le conseguenze sono le istituzioni scolastiche autonome. La deriva aziendalista e poi sovranista, infatti, si insinua in un impianto normativo che resta solidamente ancorato ai principi democratici ispirati dalla Costituzione e dai pedagogisti che hanno dato un’impronta a numerose indicazioni ministeriali. Ogni nuovo provvedimento, così, rischia di tradursi semplicemente in un ostacolo frapposto alla normale vita delle scuole, senza alcun impatto effettivo salvo quello di mettere a rischio la governabilità del sistema.

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Siamo solo all’inizio dell’anno scolastico, ma il malessere all’interno delle scuole è già molto elevato. È facile prevedere che il 2025/26 sarà un anno scolastico particolarmente caldo.

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