Fabrizio Barca, un leader che viene da lontano

Il ministro della Coesione si candida a guidare il Pd. Figlio di Luciano Barca, dirigente del Pci ed economista, ha un progetto e crede nei partiti. [Fabio Luppino]

Fabrizio Barca, un leader che viene da lontano
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7 Aprile 2013 - 17.04


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di Fabio Luppino

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Non è ancora un fatto. Ma Fabrizio Barca che riflette su come deve essere un partito moderno ha già ottenuto un risultato: tanti lo vedono come leader futuro, altrettanti si battono già contro questa ipotesi. Meno di un mese fa “Europa” lo ha descritto come curatore fallimentare del Pd.

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Fabrizio Barca visto oggi in televisione dall’Annunziata fa capire che sì, certo, l’educazione prima di tutto, ma che non si cura granché di questi venticelli (“voglio dare un contributo da dirigente, non voglio fare il segretario”, ha detto). A differenza di quasi tutti dentro il partito, Barca ha avuto sempre due requisiti: un mestiere prestigioso e la capacità di rapportarsi con i macroproblemi del Paese dandogli una soluzione. Ma non è un tecnico alla Monti o alla Fornero, no. Il padre, Luciano Barca, era l’economista di punta del Pci. Fabrizio ne ha seguito le orme. Non serve enumerare i titoli accademici, anche perché Barca a differenza di altri potrebbe farlo. Quel che più importa ricordare, invece, è che l’attuale esperienza è solo la minore. Barca è stato capo della Divisione ricerca in Banca d’Italia, capo del Dipartimento delle Politiche di Sviluppo presso il ministero del Tesoro, e direttore generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tra i Ciampi boys senza dirlo troppo in giro negli anni in cui l’ex Presidente della Repubblica preparava dal Tesoro l’ingresso dell’Italia nell’euro. Da più di vent’anni dentro la macchina dello Stato, ma non rinchiuso dentro stanze polverose ad alambiccarsi con tabelle econometriche.

Barca crede nei partiti, come tutte le persone che non dimenticano mai da dove provengono. Chi non lo vuole lo dipinge come un corpo estraneo: una sua ascesa sarebbe l’ennesima conferma che il Pd è incapace di formare una classe dirigente. Discorsi tediosi, ma non saranno isolati quando l’impegno diventerà vero. Barca crede nel lavoro, “il lavoro vivo come fonte di innovazione per la produzione di beni e servizi per la collettività e le persone” , nella cultura e nell’istruzione, “fondamentale prendere più di petto il tema dei temi, in maniera di istruzione. E cioè come fronteggiare il fallimento dello Stato nel porre gli studenti tutti al medesimo punto di partenza. Perché allora non puntare di più sulla valutazione della scuola, non contro ma insieme agli insegnanti, combinandola con i processi autovalutativi interni”. Cose dette alla Cgil due mesi fa e ripetute ieri a in “Mezz’ora”.

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C’è tutto per essere l’anti Renzi. Ma dentro il Pd gli faranno pagare i tempi della sua candidatura, così come hanno fatto pagare a Renzi la forza d’urto delle sue parole, accostandolo all’antipolitica. E non si tratta di contrapporre iscritti e non iscritti, una vecchia polemica che non ha aggiunto nulla ad un partito che vuole essere moderno. L’apparato serve, ma non è sufficiente a produrre un leader, oppure sono così stringenti e coattive le logiche d’apparato che strozzano individualità rilevanti, sempre che ce ne siano state in questi anni, prima che sboccino del tutto. E forse non sarà più così.

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Fabrizio Barca non ha tessere, ma ritiene che il Pd sia la sua casa. Se la porta è aperta ha i numeri per strutturarla solidamente.

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