Si era capito sin dall’inizio che la minaccia di Renzi si sarebbe avverata cercando di scaricarne la colpa alle opposizioni e alle loro modeste pratiche di ostruzionismo. Ma Renzi punta ad una vittoria schiacciante, anche attraverso procedure in sé discutibili, specialmente in materia di riforma elettorale.
Quando cioè sarebbe indispensabile la ricerca convinta del consenso più ampio e non fornire anche solo il sospetto di volere forzare in ogni modo la mano nonostante la sola maggioranza renziana sostenesse a spada tratta il progetto e volesse una rapida soluzione, secondare il leader, anche nei tempi. Condizione questa quanto meno singolare avendo Renzi sostenuto in ripetute occasioni che l’orizzonte del suo governo faceva riferimento alla scadenza naturale del 2018. In più inoltre nella stessa legge, si fissava per il 2016 la sua entrata in vigore. Ma la politica del presidente del Consiglio che pure ha il merito di avere innovato non poco nell’immagine e nel ricambio della classe dirigente, è fatta molto di annunci e di sceneggiate, come l’ultima insieme al segretario dell’Onu e alla super ministra Mogherini in giro per il Mediterraneo ad osservare le onde di tante sciagurate tragedie e le gesta di tanti disperati che continuano ad approdare sulle nostre coste.
Alla Camera l’inizio dell’esame della legge elettorale, a cui il presidente del Consiglio e segretario del Pd non ha dedicato neppure un minuto, è stata ugualmente una bella sceneggiata, una opera dei pupi alla siciliana, con durlindane che sciabolavano da una parte all’altra senza che si intravedesse un solo spunto di possibile apertura e di dialogo da parte di una maggioranza arroccata sulle sue posizioni e interessata a vincere o stravincere senza modificare di una virgola la legge governativa. Eppure maggioranza e governo dovevano sentirsi più sicuri e sereni perché tutte le pregiudiziali erano state respinte con facilità. E’ prevalso insomma sin dall’inizio, la volontà di ottenere la vittoria, tutta ancorata alla garanzia di stabilità dell’esecutivo per tutta la legislatura, ignorando del tutto il principio non meno rilevante della rappresentanza democratica del Parlamento, la sua non meno fondamentale funzione per la democraticità dell’intero ordinamento con la conseguenza non meno importante ai fini della articolazione e vivacità della società, la sua condizione pluralistica e autonomistica dello Stato. Il pluralismo come garanzia costituzionale di tutta la vita politica e sociale e delle istituzioni, rimane purtroppo schiacciato da una visione centralistica che ha la sua pretesa di comando esclusiva dal Nazareno e da palazzo Chigi .
Dentro la visione ricavabile dal testo della legge , emerge la pretesa di avere un grande partito nazionale, quale il partito della nazione vagheggiato da Renzi specie dopo il voto europeo , che farebbe man bassa di voti in tutte le direzioni, imponendosi come artefice e solitario protagonista di tutto. Ma del pericolo di avere una nuova edizione di un grosso centro democristiano come ai tempi della cosiddetta prima Repubblica, in pochi sembrano aver compreso il pericolo. Nonostante la Dc di quegli anni dovesse fare i conti con il più grosso partito comunista d’Europa, e le urgenze della vita economica e sociale favorissero la tentazione di una discutibile espansione della spesa pubblica e della interferenza partitica in ogni campo. Maldestramente settori renziani facevano circolare in transatlantico la sintesi dell’intervento di Aldo Moro in occasione del dibattito sulla riforma elettorale di Alcide De Gasperi ingiustamente denigrata come legge truffa. Basterebbe solo ricordare che quella legge faceva scattare un modesto premio di maggioranza a condizione però che la coalizione raggiungesse il 50+1 dei consensi. Basterebbe raffrontare questo dato con lo spropositato premio previsto dal ministro Boschi per cogliere la distanza siderale tanto più che nemmeno al ballottaggio è previsto l’apparentamento, ma tutto si risolve in un gigantesco favore ad un solo partito : secondo Renzi ovviamente al suo .
Vedremo nei prossimi giorni se il dibattito e la gravità del momento ci faranno almeno ascoltare voci e interrogativi analoghi a quelli che abbiamo letto all’università a proposito dei costituenti. Non ci facciamo però troppe illusioni, anche perché i cittadini si mostrano del tutto disaffezionati ed indifferenti e il 50% di astensioni segnano una frattura profonda tra l’attuale politica e le esigenze e inquietudini dei cittadini.