Camporini: "Al capezzale della politica italiana, sono accorsi tre salvatori: Draghi, Biden e l’Europa"
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Camporini: "Al capezzale della politica italiana, sono accorsi tre salvatori: Draghi, Biden e l’Europa"

L'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa tra i più autorevoli analisti di geopolitica e strategia militare ha aderito ad Azione di Carlo Calenda, responsabile del partito per sicurezza e difesa.

Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa
Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Febbraio 2021 - 16.07


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“Al capezzale della politica italiana, sono accorsi tre salvatori: Draghi, Biden e l’Europa. E se non riescono a tirarci dai guai loro..”.

Parte da qui l’intervista concessa a Globalist dal generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali), tra i più autorevoli analisti di geopolitica e strategia militare europei, ed oggi uno dei promotori di Azione di Carlo Calenda, responsabile del partito per sicurezza e difesa.

Generale Camporini, la politica estera sembra essere fuori dall’agenda dei negoziatori del nuovo Governo Draghi. C’è da preoccuparsi?

La cosa non mi preoccupa più di tanto. Perché io ho grande stima di Mario Draghi, che ho anche conosciuto personalmente. A me francamente non interessa se la gente si accapiglia adesso sul maxi ministero della Transizione ecologica o su cose del genere. Draghi è sufficientemente introdotto e bravo e  la politica estera comunque la curerà e la curerà nel modo migliore possibile…”.

Intanto, però, impazza il totoministri che investe anche la Farnesina…

Vale quanto detto pocanzi. Si dice che potrà mettere alla guida degli Esteri un personaggio con gli attributi. Si sono fatti i nomi di Marta Dassù e di Elisabetta Belloni, persone di primissima qualità. Ma se anche dovesse restare Di Maio, la cosa non avrebbe conseguenze negative perché comunque la politica estera la farà Draghi.  Lui saprà non dico risolvere ma certamente affrontare con la metodologia giusta le questioni di volta in volta sul tappeto. Il fatto che sui giornali italiani si spettegoli d’altro che di questioncelle interne, per quanto serie, perché sul fronte della politica estera le competenze, le capacità e le conoscenze di Draghi sono garanzia più che sufficiente che torneremo a farne un po’.

Tornare a farne un po’. Ma a parte l’Europa, che comunque più che politica estera ormai è parte della politica interna…

E’ dal 2011 che lo dico, ora se ne stanno accorgendo…

In politica estera, quali saranno, a suo avviso, i dossier più caldi che il presidente del Consiglio in pectore sarà chiamato ad affrontare?

In primo luogo, dovrà favorire e agevolare la ricucitura del rapporto transatlantico. Questo chiaramente non è un’azione di politica estera nazionale ma di politica estera, perché, come detto, la politica dell’Unione è parte importante della politica interna. Il che comporta il consolidamento e un ripensamento dell’atteggiamento ambiguo fin qui tenuto nei confronti di quelli che sono considerati i competitor, vale a dire Cina e Russia.

Uno dei luoghi caldi, strategici, nei quali l’Italia dovrà ricostruire una sua politica, è sicuramente il Mediterraneo. 

E’ certamente il Mediterraneo, in particolare la Libia. Gli ultimissimi sviluppi accaduti in Libia, credo che rendano lecita una fiammella di speranza. Non perché la situazione sia radicalmente cambiata rispetto al passato, ma per il fatto che il clima è nuovo ed è un clima che, con tutte le cautele del caso, potrebbe finalmente sbloccare la situazione libica. Uso il condizionale, perché poi dipende dal fatto che Haftar non si senta troppo penalizzato da questa nuova ventata e quindi non assuma qualche iniziativa che vada a rompere le uova nel paniere. Ciò detto, è chiaro che il dossier Libia debba sicuramente essere ripreso in mano e affrontato prima di tutto con una condivisione all’interno dell’Unione europea, in modo tale che le azioni, le posizioni vengano concertate, il che significa un dialogo intenso e aperto, in particolare con la Francia e la Germania.

Prima faceva riferimento alla necessità di ricostruire una nuova partnership transatlantica. Guardando alla nuova presidenza Biden, che prospettive si aprono su questo versante?

Prima di tutto dobbiamo avere delle prospettive che siano realistiche e razionali. Il che significa prendere atto che comunque Biden è il presidente degli Stati Uniti e quindi farà gli interessi degli Stati Uniti, perché deve farlo. Lo farà con toni che saranno sicuramente diversi da quelli di Trump, e lo ha già dimostrato, con atteggiamenti molto più proattivi nei confronti delle organizzazioni e delle iniziative multilaterali, cosa che sta facendo, vedi il rientro degli USA nell’Accordo di Parigi sul clima, così come il rinnovo per cinque anni del Trattato New Start. Vi sono delle differenze sostanziali e differenze formali con la precedente amministrazione. Differenze formali che non si limitano al fatto che Biden è una persona educata mentre Trump non lo era. Queste differenze si concretizzano nell’attenzione alla metodologia multilaterale che Trump aveva completamente cancellato. Da questo punto di vista ci sono delle novità, queste novità devono essere prese in considerazione, devono essere per certi versi agevolate, senza però coltivare sogni, che si rivelerebbero delle illusioni, che il nuovo inquilino della Casa Bianca risolva i nostri problemi. I nostri problemi dobbiamo risolverceli da soli. 

E sul piano della difesa?

Non conosco il nuovo chairman del Comitato dei capi di stato maggiore degli Stati Uniti, non ho elementi per fare delle previsioni in merito. E’ chiaro che il Pentagono è una macchina estremamente solida e come tutte le grandi macchine solide è difficile che facciano delle repentine conversioni di rotta o dei cambiamenti radicali. E’ quello che si dice delle portaerei: per farle fare una virata è davvero dura. Da questo punto di vista non mi aspetto delle enormi novità: fino ad adesso, tutti i dossier che sono stati citati sono tutti dossier di grande importanza, di grande lungimiranza, a partire dalle questioni dello spazio, dell’equilibrio nucleare, della difesa e delle capacità cyber, quindi da questo versante non mi aspetto, come già detto, delle grandissime novità né mi aspetto delle variazioni eclatanti nei bilanci del Pentagono nei prossimi anni.

Per tornare in Italia e sulle vicende politiche nostrane. La metto brutalmente così: in Italia nella politica uno sport che va per la maggiore è il salto sul carro del vincitore. Va bene l’autorevolezza, va benissimo l’alto profilo, ma tutti sono stati folgorati sulla via del “draghismo”?

Ho una certa stima dell’intelligenza dei nostri politici. I quali si sono resi conto ormai da qualche mese che la situazione italiana è ingestibile con i loro metodi e con le loro strutture. E quindi, secondo me, non aspettavano altro che arrivasse il demiurgo, il deus ex machina, che togliesse loro le castagne dal fuoco. Bisognerà prendere decisioni molto serie, a volte anche molto dure, quindi finalmente, è il pensiero recondito dei politici, è arrivato lui a togliere le castagne dal fuoco e dopo ci spartiremo il bottino. 

Una parola magica che oggi tutti usano, per spiegare lo stare tutti insieme sotto l’ala protettiva di “super Mario” è la parola Europa. Tutti, pure il sovranista Salvini, si professano europeisti. Ma questo “europeismo” così manifestatamente esibito non è la classica foglia di fico che serve a mascherare divisioni tutt’altro che sopite?

La cosa è evidente. Nel senso che evocare i salvatori è quello che comunque unifica anche la pattuglia più riottosa. A questo punto abbiamo tre salvatori: Draghi, che finalmente si assumerà lui l’incarico di fare i sacrifici e quindi di assorbire l’impopolarità conseguente. Abbiamo Biden che finalmente non ci tratta come bambini riottosi. E abbiamo l’Europa che ha dimostrato negli ultimi mesi di avere un atteggiamento più ispirato alla solidarietà, non nel senso dell’elemosina ma nel senso che, in una fase segnata pesantemente dalla crisi pandemica, i problemi sono di tutti e dobbiamo risolverli tutti insieme. Sono i tre salvatori che sono arrivati all’orizzonte e quindi è chiaro che chi si rendeva conto che con le sue forze, con le sue metodologie, andava a sbattere contro un muro, ha visto in quella triade quelli che gli salvano tutto. L’Europa è uno dei tre “salvatori” e quindi non è sorprendente che improvvisamente chi voleva uscire dall’euro, come Salvini e i grillini, si professino ora come i più ferventi europeisti della storia.  

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