La destra meloniana attacca la democrazia: dal Quirinale alla magistratura un piano per svuotare la Costituzione

L’obiettivo della destra meloniana è l’Ungheria, cioè uno stato definito con una sorta di ossimoro oramai entrato nel lessico politico contemporaneo: una democrazia illiberale.

La destra meloniana attacca la democrazia: dal Quirinale alla magistratura un piano per svuotare la Costituzione
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Giovanna Musilli Modifica articolo

21 Novembre 2025 - 18.49


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La destra di governo sta pericolosamente accelerando l’attacco alle istituzioni democratiche. L’ultimo assalto è quello al Presidente della repubblica Sergio Mattarella, inopinatamente sospettato di ordire trame contro il governo meloniano, sulla base di una dichiarazione attribuita al consigliere quirinalizio Francesco Saverio Garofani, fatta in un contesto privato e riportata da una fonte anonima al giornale La Verità. Il capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, noto ai più per i compleanni giovanili festeggiati con tanto di divisa nazista, ha perfino chiesto smentita ufficiale al Colle, che ha definito la vicenda “ridicola”. 

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Questo imbarazzante episodio probabilmente deve essere inquadrato in un contesto ben più ampio, che riguarda la strategia politica di questa destra, ormai non più tanto nascosta e finalizzata a minare le fondamenta della nostra Costituzione: la divisione dei poteri, i pesi e i contrappesi democratici, le istituzioni di controllo, i corpi intermedi. 

L’obiettivo della destra meloniana è l’Ungheria, cioè uno stato definito con una sorta di ossimoro oramai entrato nel lessico politico contemporaneo: una democrazia illiberale. Da qui, gli attacchi scomposti alla presidenza della repubblica, alla magistratura, alla corte dei conti, ai sindacati, alla libera informazione. Cioè, a tutti i poteri diversi dal governo che possono condizionarne l’azione. 

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I meloniani sono convinti che “democrazia” significhi semplicemente indire libere elezioni, dopodiché teorizzano ormai apertamente una gestione del potere autoritaria, senza vincoli e senza controlli. Alla base c’è l’idea, storicamente tipica di tutti i regimi autoritari, che il governo incarni la volontà popolare senza mediazioni e che sia investito di un’autorità assoluta. 

In questa prospettiva vanno inserite la riforma costituzionale della magistratura appena varata, primo passo per sottoporre i pubblici ministeri al controllo del governo, la riforma della corte dei conti che ne depotenzierà l’azione di controllo sui conti pubblici, e la riforma del premierato, che concentrerà un potere enorme nelle mani del capo del governo (conferendogli perfino il potere di sciogliere le camere, di far dimettere i ministri, di proporre iniziative legislative, e chissà che altro). 

A questo panorama desolante vanno aggiunte poi l’allergia alla libera informazione (vedi il recente scandalo che ha travolto il Garante della privacy), e l’aperta ostilità a ogni forma di dissenso, resa palese dall’ultimo decreto sicurezza che criminalizza chi manifesta pacificamente. In più, pare si discuta perfino di uno scudo penale alle forze dell’ordine, così da mettere definitivamente a tacere qualsiasi manifestazione pubblica di dissenso. 

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Per non parlare della volontà di garantire impunità ai colletti bianchi, evidente dall’abolizione dell’abuso di ufficio, dalla limitazione delle intercettazioni telefoniche a 45 giorni, dalla geniale idea di avvisare 5 giorni prima chi deve essere arrestato, dalla volontà di mettere in discussione l’obbligatorietà dell’azione penale (già limitata dalla legge Cartabia del 2022), così da attribuire alla politica la scelta dei reati da perseguire in via prioritaria. 

Anche l’impalcatura ideologica identitaria afferente allo slogan – per la verità un po’ vecchiotto – “dio, patria e famiglia” va nella stessa direzione. La politica vorrebbe financo decidere quali siano i valori morali giusti, quale tipo di famiglia sia accettabile, quale sia l’unica religione vera. Con l’ovvia conseguenza di marginalizzare le minoranze. Insomma, si vorrebbe tornare alla morale e alla religione di stato. 

D’altronde, la tanto decantata deportazione dei migranti nei centri di detenzione albanesi, in violazione dei loro diritti e anche della Costituzione, rientra in una concezione biologica della cittadinanza volta a escludere chi non appartiene alla nazione italiana, intesa alla vecchia maniera come comunità di etnia, di valori, di religione. 

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Chi parla della destra di governo come di una destra liberale, moderata e conservatrice, evidentemente, non ha ancora messo insieme i pezzi. Del quadro complessivo, c’è di che allarmarsi. 

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