L’inchiesta giudiziaria sul presunto finanziamento ad Hamas, che ha portato all’arresto di nove persone, è diventata nel giro di poche ore il terreno di una vasta e coordinata offensiva politica della destra italiana. Un’operazione comunicativa che va ben oltre il legittimo apprezzamento per il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e che si configura come un tentativo esplicito di strumentalizzare l’indagine per colpire l’opposizione, delegittimare il movimento pro-Palestina e riscrivere retroattivamente la postura internazionale del governo Meloni.
Le dichiarazioni si susseguono con un linguaggio univoco, aggressivo, spesso indistinto, che accosta l’inchiesta giudiziaria non solo a un presunto sistema di “infiltrazioni” terroristiche, ma addirittura a una responsabilità politica e morale collettiva della sinistra, dei movimenti pacifisti e di chiunque abbia denunciato la devastazione di Gaza.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla di “apprezzamento e soddisfazione” per l’operazione che ha portato “agli arresti di nove persone accusate di aver finanziato Hamas”, sottolineando il ruolo delle istituzioni coinvolte e citando tra gli arrestati Mohammad Mahmoud Ahmad Hannoun, definito dagli investigatori “membro del comparto estero dell’organizzazione terroristica Hamas” e “vertice della cellula italiana dell’organizzazione Hamas”. Un intervento che, pur mantenendo una forma istituzionale, apre la strada a una narrazione politica immediatamente cavalcata dai vertici di Fratelli d’Italia.
Federico Mollicone parla di un’operazione che “segna un punto di svolta fondamentale nel contrasto alle reti di finanziamento del terrorismo islamista in Italia” e che “svela anche che la mobilitazione, a cui si sono accodate le opposizioni, ha delle infiltrazioni di Hamas”. Ester Mieli auspica che “la sinistra prenda finalmente le distanze da certi ambienti e da certi personaggi vicini al terrorismo islamico chiedendo scusa”. Gianni Berrino invita la sinistra alla “prudenza quando si organizzano convegni con esponenti della galassia pro-pal”.
Il salto di qualità avviene però quando l’inchiesta viene usata apertamente per colpire il movimento di solidarietà con la Palestina in quanto tale, trasformando un’indagine giudiziaria circoscritta in una clava ideologica contro ogni forma di dissenso rispetto alla linea del governo su Israele. Edoardo Rixi afferma che “Ogni tentativo di minimizzare, giustificare o relativizzare le azioni di Hamas contribuisce a legittimare il terrorismo” e chiama in causa figure istituzionali internazionali, mentre Andrea Delmastro delle Vedove parla di una sinistra “accecata ideologicamente dal verbo pro pal”, accusata di essere “andata a braccetto con Hannoun”.
Carlo Fidanza si spinge a interrogare direttamente Conte e Schlein sulla loro capacità di “pronunciare le fatidiche parole di condanna”, evocando “un velo di ipocrisia e di complicità”. Augusta Montaruli parla di “pericolosità del soggetto filo Hamas” e chiede “scuse e spiegazioni” a chiunque abbia avuto rapporti con lui. Mauro Malaguti arriva a sostenere che l’inchiesta dimostrerebbe che “i palestinesi non hanno alcun legame con il terrorismo?” come se la solidarietà a un popolo sotto assedio fosse automaticamente assimilabile al sostegno a un’organizzazione armata.
Alla narrazione di Fratelli d’Italia si affianca quella della Lega, altrettanto aggressiva. Nicola Ottaviani definisce “indifendibili” Pd e Cinque Stelle. Fabrizio Cecchetti rivendica interrogazioni presentate in passato. Matteo Salvini parla di “alcuni milioni di ‘fenomeni’” che “erano in piazza dalla parte sbagliata” e auspica espulsioni. Marco Dreosto arriva a contrapporre chi “lavora per la pace in Medio Oriente, come Donald Trump” a chi “cerca di boicottarla”, chiedendo “espulsioni immediate” e lodando inchieste giornalistiche schierate.
Ciò che colpisce, nel loro insieme, non è soltanto il tono, ma l’evidente asimmetria politica e morale. La stessa destra che oggi utilizza l’inchiesta su Hamas per chiedere “condanne”, “scuse” ed “espulsioni”, non ha mai promosso alcuna iniziativa politica o istituzionale di condanna nei confronti del governo Netanyahu per la distruzione sistematica di Gaza, per le decine di migliaia di civili uccisi, per l’uso della fame come arma di guerra, per gli attacchi a ospedali, scuole, convogli umanitari.
Non una parola sulle indagini della Corte penale internazionale, non una presa di distanza dalle accuse di crimini di guerra, non una critica alle politiche israeliane di annientamento della popolazione palestinese. Al contrario, il governo Meloni ha garantito un sostegno politico pressoché incondizionato a Israele, respingendo ogni richiesta di cessate il fuoco e criminalizzando sistematicamente le mobilitazioni pacifiste.
È in questo contesto che l’inchiesta giudiziaria viene piegata a strumento di “ripulitura morale”: una sorta di rifarsi una verginità politica dopo mesi di silenzi, ambiguità e complicità rispetto a una catastrofe umanitaria che gran parte della comunità internazionale definisce ormai senza esitazioni come genocidio.
Confondere deliberatamente Hamas con il popolo palestinese, e il finanziamento illecito con la solidarietà politica, non è un errore: è una scelta. Una scelta che serve a delegittimare ogni critica a Israele, a intimidire il dissenso, e a riscrivere lo spazio pubblico secondo una logica binaria in cui chi denuncia Gaza è sospetto, e chi tace sui crimini di Netanyahu è automaticamente “dalla parte giusta”.
L’indagine giudiziaria farà il suo corso. Ma usarla come arma politica per colpire opposizioni, movimenti e attivisti mentre si continua a ignorare sistematicamente la distruzione di Gaza non è lotta al terrorismo: è strumentalizzazione. E anche piuttosto trasparente.
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