La Football Association of Ireland ha deciso di rompere il silenzio. In una storica assemblea generale straordinaria tenutasi sabato 8 novembre a Dublino, la FAI ha votato a larghissima maggioranza per presentare all’Uefa una mozione che chiede la sospensione immediata della Federazione calcistica israeliana da tutte le competizioni europee. Un voto che segna una svolta nel mondo dello sport e che risuona come un segnale politico potente, in un momento in cui cresce la pressione internazionale contro Israele per le sue azioni nei Territori occupati e per la devastazione di Gaza.
La mozione, proposta dal Bohemians FC e sostenuta da numerosi club e delegati delle tre camere della federazione, è passata con 74 voti favorevoli, 7 contrari e solo 2 astensioni. Una quasi unanimità che fotografa l’esasperazione di un movimento calcistico nazionale ormai convinto che non sia più possibile ignorare le violazioni degli statuti UEFA. Due gli articoli contestati all’Israeli Football Association: il primo, l’articolo 5, riguarda la violazione del principio di integrità territoriale, con la disputa di partite nei territori palestinesi occupati senza il consenso della federazione palestinese. Il secondo, l’articolo 7bis, chiama in causa l’incapacità dell’IFA di combattere il razzismo e l’incitamento all’odio, fenomeni ripetutamente documentati nei campionati israeliani.
La richiesta irlandese è chiara: sospendere Israele come fu sospesa la Russia nel 2022, e stabilire criteri trasparenti per garantire un trattamento equo a tutte le federazioni. Il riferimento è esplicito: perché due pesi e due misure? Perché una guerra vale sanzioni e un’altra solo silenzi?
Il voto della FAI arriva in un contesto di crescente mobilitazione. Già a settembre le federazioni di Turchia e Norvegia avevano chiesto pubblicamente la sospensione di Israele. A ottobre, oltre trenta esperti legali internazionali avevano denunciato in una lettera all’Uefa la distruzione sistematica del calcio palestinese: più di quattrocento giocatori uccisi, stadi rasi al suolo, un intero ecosistema sportivo annientato. L’Uefa aveva in programma un voto d’urgenza sulla questione, poi rinviato dopo l’annuncio di un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti il 10 ottobre, cessate il fuoco che si è però dissolto nel giro di pochi giorni.
La pressione ora non è solo europea. Anche la FIFA è finita sotto accusa per la sua inazione. La federazione palestinese ha presentato denunce formali contro l’IFA, mentre Gianni Infantino ha derubricato la questione a “problema geopolitico”, rimandandola alle commissioni disciplinari. Per molti osservatori si tratta di un modo elegante per non assumersi responsabilità.
In Irlanda, la decisione della FAI è stata accolta con entusiasmo. Daniel Lambert, direttore operativo del Bohemians FC e noto attivista culturale, è stato tra i principali promotori dell’iniziativa. Sui social la notizia è esplosa in poche ore, con gli hashtag #BoycottIsrael e #SayNoToIsraelUEFA tra i più discussi in Irlanda e nei Paesi arabi. Al contrario, dagli Stati Uniti sono arrivate reazioni durissime: il senatore repubblicano Lindsey Graham ha minacciato “ripercussioni economiche” contro Dublino, accusando l’Irlanda di punire “gli ebrei ottant’anni dopo l’Olocausto solo perché si difendono”.
La mozione irlandese sarà ora presentata formalmente al Comitato esecutivo dell’Uefa. Perché diventi effettiva serve almeno un’altra federazione co-firmataria – probabilmente la Turchia o la Norvegia – e una maggioranza qualificata nel Comitato o, in ultima istanza, al Congresso Uefa. Se approvata, Israele verrebbe esclusa da tutte le competizioni europee, dalle qualificazioni agli Europei del 2028 fino alla Champions League, dalla Nations League ai tornei giovanili e femminili.
Sarebbe una decisione senza precedenti, una frattura storica in un sistema sportivo che da anni finge neutralità mentre lo sport palestinese viene distrutto. Come ha ricordato il professor Abdullah Al-Arian della Georgetown University in Qatar, “Israele ha goduto di un’impunità totale per decenni. Lo sport riflette la politica globale del potere”.
Ora la palla passa all’Uefa e al suo presidente Aleksander Čeferin. Dovrà scegliere se restare fedele alla retorica della neutralità o se applicare davvero le regole che la stessa Uefa si è data. Ma dopo il voto di Dublino, un fatto è certo: il mondo del calcio non potrà più fingere di non sapere.
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