Quando esistevano i leader politici esistevano anche i loro ideologi. Aiutavano a capire gli orizzonti dei leader, la loro visione. Siccome la politica è l’arte del possibile l’ideologo non diceva cosa il leader avrebbe fatto, ma aiutava a capire cosa intendeva fare, quale visione intendesse concretizzare. Una politica ha un orizzonte e deriva da una visione. Per fare un esempio: leggere Giuliano Ferrara non ci diceva quel che Berlusconi avrebbe fatto l’indomani mattina, ma ci faceva capire quale fosse l’orizzonte politico berlusconiano, la strada della sua azione. Altrettanto può dirsi per tanti altri politici. Gli ideologi in definitiva non sono dei veggenti, la realtà può rendere necessari dei compromessi, o anche dei cedimenti. Ma un leader politico ha una sua visione e l’ideologo l’ha sempre spiegata, resa accessibile anche a chi non aveva dimestichezza con l’azione del leader politico o non riuscisse a distinguere tra tattica e strategia.
Alexandr Dugin è l’ideologo di Vladimir Putin. Discusso, detestato o amato, non detta la linea di Putin, ma ci offre le chiavi interpretative di qualcosa che c’è nella sua visione, in questo caso la sua visione della Russia. Leggere Dugin è dunque leggere in un processo mentale che c’è dentro Putin, nella sua visione della Russia e del mondo, al di là di quel che poi la realtà gli consentirà di fare domani o dopodomani.
Ieri Alexandr Dugin ha sentito il bisogno di chiarire l’orizzonte, la visione, a un punto cruciale della guerra d’invasione dell’Ucraina. Sapendo che le sue parole saranno pesate, valutate, studiate, si può immaginare che abbia cercato di forzare la mano, in un senso o nell’altro, per arrivare agli interlocutori prescelti. Dugin, un poliglotta capace di esprimersi anche in un forbito italiano, ha scritto in inglese, una scelta che rende esplicita l’intenzione di rivolgersi non ai russi, né a chi può capire il russo come una seconda lingua, ma agli altri. Dunque Dugin ha sentito il bisogno di comunicare qualcosa da ideologo di Putin a chi non è slavo. Il suo messaggio è teso a dirci quale sia l’orizzonte putiniano.
Dice testualmente: “In Ucraina la Russia riporterà ordine, giustizia, prosperità e standard decenti di vita. La Russia porta con sé la libertà. La Russia è l’unico paese slavo che ha saputo creare un impero, un potere sovrano. Nessun altro slavo, né slavo dell’est, né slavo dell’ovest, né slavo del sud è riuscito in un’analoga impresa. Molti ci hanno provato, come ci dicono i bulgari e i serbi con la loro storia, senza riuscirci fino in fondo. Solo i russi sono riusciti a farlo. Non siamo i primi in tutto. Lo ammettiamo umilmente. Siamo pronti ad imparare da chi è migliore di noi. Ma costruire un impero mondiale è il nostro compito, sappiamo come si fa. Ecco perché noi siamo Roma (la nuova Roma, quella che nella mitologia russa sarebbe la Terza Roma, la capitale del nuovo impero dopo la caduta di Roma e Costantinopoli, che veniva chiamata la Seconda Roma. Dunque un impero cristiano, il nuovo impero cristiano). Chi si è opposto a Roma è Cartagine. Anche Cartagine era grande, forte, e il suo potere non sembrava avere limiti. Quel limite fu posto da Roma. Ora, proprio ora, nel fuoco, la polvere, il sangue, la Terza Roma sta ponendo il limite alla Nuova Cartagine, rovesciando l’onnipotenza della Prostituta di Babilonia ( un diretto riferimento al libro dell’Apocalisse che fa parla della Grande Meretrice di Babilonia come di un potere corrotto e lascivo che governava gran parte del mondo conosciuto esercitando una potenza globale). Noi non possiamo abbandonare il cammino della storia sacra, che si ripete da epoche ed epoche. E da epoche e epoche l’oriente russo salva l’occidente russo dall’occidente non russo. Perché noi siamo Roma”.
Qui abbiamo chiaramente una visione apocalittica, da battaglia sacra tra Bene e Male, figli del Bene contro figli del Male. Sono esattamente gli stessi concetti espressi dal patriarca di Mosca, Kirill, nella sua omelia di domenica scorsa. Kirill disse che il conflitto opponeva la Russia all’Occidente lascivo e corrotto, quello che vuole imporre i Gay Pride, cioè l’esibizione dell’orgoglio di essere contro la legge di Dio. Il patriarca ha definito questa conflitto un conflitto che deciderà le sorti dell’umanità, che in base al suo esito stabilirà se l’umanità nel giorno del giudizio si troverà alla destra del padre o alla sua sinistra.
Ma Kirill, parzialmente e malamente capito, ha parlato in russo, quindi ai russi. Intendeva porre il cristianesimo russo al servizio di Putin. Dugin ha scritto in inglese. Per rivolgersi a chi? A noi? Certamente anche a noi, sperando che una parte di noi capisca e condivida, o tema. Ma si rivolgeva anche ad altri popoli, i famosi Brics (Brasile, India, Cina, Sud Africa), i popoli del sud del mondo che si sentono da almeno due secoli scartati e maltrattati dall’Occidente.
L’orizzonte di Putin è davvero un orizzonte apocalittico? Forse no, forse Dugin mette qualcosa della sua personale ideologia nel racconto, forzando la mano dell’interpretazione di Putin se lo prendiamo come autentico ideologo di Putin. Ispiratore lo è, certamente, ma non è detto che ispiri tutto del leader politico. Ma la convergenza che esplicita e conferma la visione del patriarca di Mosca va presa sul serio. Molto sul serio. Putin ritiene che il nostro mondo è in decomposizione, non crede più in nulla, e sa che questa decomposizione è dentro di lui, dei suoi oligarchi. Sa che la loro condotta, i loro panfili, le loro fortune, sono il cedimento, il tradimento dell’ “anima” russa, e odia ciò che è loro stessi sono diventati, per via di questa “occidentalizzazione” interiore. Per questo Dugin va preso sul serio. La sua scelta di vestire con capi occidentali di un costo esorbitante in occasione del grande comizio di due giorni fa, quello della vittoria, forse si spiega anche così.