Il caso di Giovanna Pedretti, i social e l'informazione affidabile (o meno)
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Il caso di Giovanna Pedretti, i social e l'informazione affidabile (o meno)

Non ci si può limitare ad osservare attoniti.  Il caso della signora Giovanna Pedretti dovrebbe far ragionare tutti.

Il caso di Giovanna Pedretti, i social e l'informazione affidabile (o meno)
Il caso di Giovanna Pedretti
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

17 Gennaio 2024 - 12.59


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Non ci si può limitare ad osservare attoniti.  Il caso della signora Giovanna Pedretti dovrebbe far ragionare tutti. Una piccola pizzeria, un commento omofobo sulla sua pagina che lei critica con consensi, poi viene ritenuto falso con condanne, poi il suicidio. Oltre che vero o falso, osservano alcuni, il commento poteva essere un tranello. Prima di esprimermi voglio dire che sono addolorato per la signora Pedretti e per i suoi cari. 

Un tempo l’affidabilità informativa era requisito del mezzo di comunicazione in sé: “l’ha detto la televisione”, era una frase definitiva. La televisione era la verità, detto lì era ormai un fatto certo. Ora l’affidabilità è dei singoli: ti leggo perché a mio avviso sei affidabile. Questo è un meccanismo nuovo, fondato su presupposti a volte esili: perché ti ho scelto? Solo per i numeri? Qui si pone un primo punto: i nostri criteri di scelta. 

L’affidabilità infatti si deve conquistare, è un punto d’arrivo, non di partenza. E per conquistarla molti scelgono, anche indotti dalle nostre richieste,  la via “passionale”: non vogliamo forse subito la verità, qualcuno che smascheri gli altarini, i complotti, le bugie, i tradimenti? Tutte cose che esistono nel mondo, ma che spostano il mercato, domanda e offerta, su qualcosa contro qualcuno, contro qualcosa: sempre contro. Che attenzione può avere da parte nostra un tentativo di influenzarci a vedere la complessità della vita, della storia, dei rapporti, dei racconti. Tu per me sei affidabile perché denunci “la casta”, in qualsiasi sua possibile forma di prevaricazione. Così l’informazione diviene scoperta,  disvela i lati oscuri, come se esistesse qualcuno che non ha il suo lato oscuro. 

Ma l’affidabilità che noi cercavamo all’inizio del nostro viaggio nei social media  era questa? O era l’affidabilità di chi sapeva dirmi che un racconto piano, facile, ridotto all’osso, non poteva bastarmi? Una fonte affidabile qui sarebbe stata una fonte che mi interroga, non che mi dà certezze, che mi spinge ad andare  oltre, intrecciare un fatto con un altro fatto e così capire la storia, che è un insieme di storie, non è mai una storia sola, lineare, piana. 

Dunque i nuovi soggetti del web ci dicono soprattutto qualcosa di noi, dei nostri meccanismi: abbiamo bisogno di semplicità non di complessità e soprattutto abbiamo bisogno di manti rossi, perché la nostra urgenza è essere contro! La politica, il potere, sono lontani, superpoteri si nascondono ovunque, ci sono orribili complotti, forse tutto è un complotto. 

Il web e i suoi protagonisti stanno mettendo sotto accusa la nostra distanza dal potere: il potere, il successo, sono prodotti di complotti. E questo può anche ritorcersi contro i protagonisti del nuovo meccanismo di denuncia. Ma la distanza denunciata, quella tra noi e il potere, resta.  

Il punto vero che a mio avviso emerge anche dallo specifico del commento (vero, falso o trappola che fosse) non è il “complotto”, ma il tema dell’identità. La scelta del tema “omosessualità-omofobia” non indica comunque la centralità del tema dell’identità? Paura della discriminazione, che evidentemente esiste, oppure paura della diversità. Abbiamo paura che le nostre identità si vadano smarrendo, che nella nostra identità ci sia anche diversità? A me sembra che l’essere contro derivi dalla distanza dal potere, e che il bisogno identitario sia una risposta per illuderci di ritrovarci. 

Dunque la globalizzazione, i new media, hanno prodotto un meccanismo che evidenzia le paura della globalizzazione, del potere “lontano”. Che poi noi si crede nell’identitarismo come risposta a questo è un problema nostro.  

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