San Francesco: una lotta continua tutta politica e poco spirituale per appropriarsene 

Mussolini lo trasformò nell’icona spirituale del regime, Togliatti lo presentò come un “proto-socialista” medievale. Dal 4 ottobre 2026 ritornerà la festa nazionale, ma il Santo ricorda a tutti che la vera forza non sta nel dominare, ma nel rinunciare.

San Francesco: una lotta continua tutta politica e poco spirituale per appropriarsene 
San Francesco
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Marcello Cecconi Modifica articolo

9 Ottobre 2025 - 10.42 Culture


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Nel 2026 si celebrerà l’ottavo centenario della morte di San Francesco e, per questa occasione, il 4 ottobre tornerà a essere festa nazionale. Proposto da un partito della maggioranza, ma con sostegno bipartisan, il Senato ha scelto di restituire alla memoria civile italiana la giornata dedicata a San Francesco d’Assisi. La proclamazione del Senato, corroborata dalla visita del presidente Meloni ad Assisi, è accompagnata da una campagna di Comunicazione Istituzionale promossa da Palazzo Chigi che da qualche giorno passa in Tv. Uno spot di 30 secondi con il claim finale “San Francesco: un’esplosione di vita!

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Lo spot della Campagna Istituzionale promossa da Palazzo Chigi

Sono gesti che, pur nella loro apparente neutralità, riaprano un antico dibattito: quello sull’uso, e sull’abuso del patrono d’Italia, il santo più amato e più strumentalizzato della nostra storia. Una figura fondativa dell’identità spirituale e culturale del Paese da maneggiare con cura. San Francesco, più di ogni altro, è un simbolo conteso. Conteso dalla politica, che ne piega la figura alle proprie narrazioni; conteso dalla cultura, che ne fa di volta in volta un’icona rivoluzionaria, ecologista, mistica o ribelle; conteso perfino dalla Chiesa, che per secoli ha cercato di conciliare la sua radicale povertà con le necessità del potere istituzionale.

Esattamente un secolo fa, nel precedente centenario della morte di Francesco, Benito Mussolini lo proclamò “il più italiano dei santi”, trasformandolo nell’icona spirituale del regime. Il Poverello d’Assisi si trovò così d’un tratto come simbolo di un’“Italia nuova”  e patriottica costruita sull’ordine e sul lavoro rurale. Qualche decennio dopo, Palmiro Togliatti provò a restituirgli una valenza opposta cercando di attirare i voti dei cattolici nel Fronte Popolare. In questo caso  Francesco è presentato come il precursore di una società egualitaria, quasi un “proto-socialista” medievale. 

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Da allora, ogni stagione politica ha proposto il proprio San Francesco: l’ambientalista, il pacifista, il patriota, il santo “popolare” evocato da Papa Bergoglio. Ma dietro questa continua riscrittura si cela una domanda più profonda: perché la figura di Francesco si presta così bene a essere reinterpretata? Forse perché Francesco non appartiene mai del tutto alla Chiesa, né al potere. È, per sua natura, un corpo estraneo, una voce fuori dal coro. La sua predicazione fu un atto di disobbedienza dolce e insieme radicale: un ritorno alla purezza originaria del Vangelo, ma anche una forma di critica sociale ante litteram.

Non a caso la letteratura lo ha spesso eletto a simbolo dell’eterno conflitto tra purezza e potere, tra verità e autorità. Basti pensare a Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Nel romanzo si combatte una lotta tra francescani e domenicani, tra chi vede la povertà evangelica come libertà dello spirito e chi difende il potere della conoscenza come strumento di controllo. Guglielmo da Baskerville, erede ideale di Francesco, si oppone al fanatismo inquisitoriale che teme la libertà del pensiero e l’interpretazione personale della verità. Eco, come altri prima di lui, aveva compreso che la figura di Francesco, e del francescanesimo in generale, rappresenta una tensione permanente nella cultura occidentale: quella tra il sapere come dono e il sapere come dominio.

Nel tempo, questa tensione ha attraversato la letteratura, la filosofia, l’arte. Da Dante, che nel Paradiso dedica a Francesco uno dei canti più luminosi fino a Pasolini, che lo evoca come archetipo dell’innocenza perduta e dell’uomo in armonia con la natura. Persino nel cinema contemporaneo, il santo di Assisi diventa figura rivoluzionaria e contestataria, anticipatrice del Sessantotto.

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Oggi, in un mondo tornato all’individualismo edonistico che cerca di convincersi che la crisi ambientale è un’invenzione di pochi, Francesco torna come simbolo ecologico e spirituale insieme. La sua “Laudato si’”, ripresa da Papa Francesco nell’enciclica omonima, parla a una sensibilità globale che cerca nell’armonia con la Terra una forma di redenzione collettiva. 

Eppure, ogni tentativo di appropriazione finisce per lasciare qualcosa fuori delle vere peculiarità di Francesco. Nessuna ideologia, nessuna corrente culturale è riuscita davvero a catturare il senso profondo della sua rivoluzione: quella di un uomo che disarmò il potere con la mitezza, e oppose alla violenza del mondo la radicalità della semplicità.

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