L’Europa e i suoi vicini arabi: vino nuovo in botti vecchie

La primavera araba ha generato una nuova considerazione, da parte dell’Europa su come supportare le transizioni dall’autoritarismo nei Paesi a sud del Mediterraneo

L’Europa e i suoi vicini arabi: vino nuovo in botti vecchie
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20 Giugno 2011 - 10.16


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di Richard Gillespie

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La primavera araba ha generato una nuova ed energica considerazione, da parte dell’Europa, su come supportare le transizioni dall’autoritarismo nei Paesi a sud del Mediterraneo, anche se un profondo ripensamento sul suo approccio regionale rimane una prospettiva ancora lontana.

Uno degli ostacoli è rappresentato dalla caratteristica stessa dell’Unione per il Mediterraneo (Union for the Mediterranean – Ufm), il quadro per la cooperazione multilaterale, che con i suoi 43 membri risulta troppo eterogenea per permettere la collaborazione politica o il raggiungimento di accordi sui meccanismi per la cooperazione sub-regionale. La Francia, suo promotore, si è servita di un approccio intergovernativo che coinvolgesse accordi bilaterali per tentare di avere la leadership sul partenariato. L’attivismo francese si è dimostrato, tuttavia, inadeguato e l’Ufm, semplicemente, non è mai decollata. I segni del fallimento erano già evidenti ben prima delle sollevazioni tunisine, con il rinvio dei summit dell’Ufm e con i frustrati tentativi di rinnovare la co-presidenza. Recentemente, anche la Francia ha compreso la necessità di adattare la politica europea alle nuove opportunità e sfide nel mondo arabo.

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Proposte per il riorientamento della policy sono arrivate dalla Commissione Europea e dal novellino Servizio Europeo di Azione Esterna (European External Action Service), prima attraverso l’appoggio di un Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa (Partnership for Democracy and Shared Prosperity) e, più recentemente, attraverso proposte sorte da una revisione della Politica europea del vicinato (European Neighbourhood Policy – Enp) e la creazione di una nuova Task Force per il Mediterraneo del Sud. Tuttavia, idee più radicali – come la liberalizzazione dei visti e un maggiore accesso al mercato per i prodotti agricoli – hanno già ricevuto fredde risposte da vari stati membri. Nel frattempo, le idee per creare un Fondo europeo per la democrazia e la società civile esistono solo come una bozza.

L’Ufm è ancora in auge…per ora

L’Ufm, per quanto problematica appaia, sembra destinata a permanere per due motivi. Innanzitutto non vi è alcun sentore nell’Unione Europea, o richiesta da parte degli stati arabi perché essa debba essere abbandonata, specialmente ora che alcuni dei primi entusiasti (l’ex ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner e la sua controparte spagnola, Miguel Moratinos) non sono più coinvolti e la Francia è più aperta all’adattamento: un rafforzato ruolo dell’Ue nella co-presidenza, nuovi progetti dell’Ufm incentrati sulla società civile, una maggiore enfasi sulla condizionalità politica attraverso l’Enp. Inoltre, giacché vi è bisogno urgente di rispondere agli sviluppi nel mondo arabo, l’attitudine predominante nell’Ue è quella di rovistare meglio nel guardaroba e cercare vecchi capi che possano trovare un nuovo utilizzo quasi immediatamente. Nel caso dell’Enp, una revisione della policy era in corso già prima che cominciassero gli sconvolgimenti arabi.

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Dunque, l’Ufm permarrà per qualche tempo, ma contribuirà poco ad affrontare le sfide poste dalla primavera araba. Il Segretariato a Barcellona non sta ancora giocando il ruolo previsto, anche se c’è la speranza che la recente nomina del nuovo Segretario Generale, Youssef Amrani (ex Segretario Generale del Ministero marocchino degli Affari Esteri) possa dare avvio a un approccio più pragmatico. Come possono essere introdotti nuovi progetti a supporto dello sviluppo delle società civili? Sia l’approvazione del progetto, sia il rinnovamento della co-presidenza dell’Ufm (per sostituire Francia ed Egitto) richiedono l’aver luogo di un summit. Esso sembra difficoltoso da organizzare giacché la Siria, dal canto suo, ha usato la propria influenza per bloccare qualsiasi evento dal profilo alto che implicasse la normalizzazione delle relazioni con Israele.

Nel frattempo, l’idea di adottare il Trattato di Lisbona per rendere l’Ue una forza più potente nella guida dell’Ufm è impedita dai governi europei che privilegiano uno stile intergovernativo nel processo decisionale. Per esempio, la Gran Bretagna ha bloccato l’idea di far agire l’Alto Rappresentante dell’Ue a nome dell’Unione Europea stessa nella co-presidenza dell’Ufm, poiché era preoccupata che una tale azione potesse dar luogo a un precedente su come (il Trattato di , N.d.T.) Lisbona possa essere applicato su una scala più grande.

Enp: l’approccio bilaterale

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Tutto ciò lascia l’Enp, che è organizzato su base bilaterale, il principale veicolo dell’Ue per rispondere alla primavera araba. Ciò che è promesso qui è una maggiore differenziazione delle relazioni con i vicini di casa dell’Unione Europea, in base all’estensione delle riforme dei loro sistemi. La condizionalità, infatti, è maggiormente enfatizzata che in passato e il supporto per la democratizzazione sarà la linea guida più importante. L’offerta, ora, è “più per più”, ossia maggiori benefici per i Paesi che decidano di allinearsi all’Europa. L’efficacia della condizionalità dipenderà da quanto realmente l’Ue potrà elargire maggiori benefici mediante i nuovi Piani di Azione dell’Enp. Nuovo sviluppo e supporto economico per la democrazia sono promessi a quei Paesi che realmente vogliano avviare delle riforme, ma gli attori dell’Unione Europea sono divisi su questioni quale la mobilità delle persone – per non parlare di cosa fare del continuo conflitto in Libia.

L’Enp ha il vantaggio, sull’Ufm, di essere una struttura bilaterale che può consentire alle relazioni con i partner arabi di svilupparsi a velocità variabili. Soffre ancora, tuttavia, di serie limitazioni. In primo luogo essa non comprende tutti i vicini di casa del sud dell’Ue; la Libia rimane fuori, e l’Algeria mostra ben pochi entusiasmi. In secondo luogo, per l’Unione Europea, confidare solamente sull’Enp, significherebbe abbandonare completamente il multilateralismo Euro-Med. Eppure, nonostante le sue carenze, il Processo di Barcellona ha avuto qualche successo, come la creazione dell’Anna Lindh Foundation, che ha sviluppato una rete regionale di oltre 3,000 organizzazioni della società civile.

Mentre la riforma o la sostituzione dell’Ufm sono improbabili nel prossimo futuro, il livello regionale di partenariato necessita attenzione e iniziativa. Per superare la propria paralisi, la geometria necessita un ripensamento. La collaborazione dei 43 stati membri dell’Ufm può essere utile per alcune aree di attività, ma ciò che serve è una stratificazione delle strutture euro-mediterranee che possa anche favorire la creazione di enti sub-regionali con base in Paesi e istituzioni che condividano un interesse comune al dialogo e alla collaborazione in campi particolari. “Sub-regionale” non è, necessariamente, una categoria geografica; infatti, l’applicazione della geometria variabile può essere più attuabile se definita in termini di agenda. Attualmente, essi sono trattenuti dal disinteresse o dall’opposizione di altri Paesi dell’Ufm.

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Un tale approccio è accennato nel documento dal titolo Partnership for Democracy and Shared Prosperity che afferma che l’impegno per “elezioni giuste e libere adeguatamente monitorate” dovrebbe essere “la qualifica per l’ingresso al Partenariato”. Questa proposta, però, non prevede la creazione di nuove strutture. Nonostante qualche ridefinizione dell’Enp, non è ancora chiaro se il sostegno europeo per la democratizzazione attraverso un’attività unilaterale (e, alla fine, bilaterale) avrà la spinta che la situazione richiede.

Traduzione e testo di Ilenia Ferrari

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