È crisi tra il governo di Manila e quello di Riyadh: l’oggetto dell’impasse diplomatico, che però non sembra interessare le autorità dell’ultraconservatore paese del Golfo, sono centinaia di migliaia i lavoratori- domestici, camerieri, autisti, giardinieri – di origine filippina impiegati nelle abitazioni dei sauditi. Il governo di Manila ha inviato rappresentanti ufficiali in Arabia Saudita, per verificare l’annuncio di Ryihad di non rilasciare più permessi ai lavoratori filippini. “Il governo filippino ha chiesto infatti chiarimenti – ha dichiarato il portavoce del Presidente Benigno Aquino – dopo l’annuncio che dal governo saudita non saranno più garantiti permessi di lavoro per gli immigrati filippini”. Un nuova provvedimento entrato in vigore lo scorso 2 luglio, che si applicherà anche ai lavoratori indonesiani, dopo che le autorità dei due paesi asiatici avevano chiesto maggiori garanzie sulle condizioni di lavoro. All’inizio del mese Jakarta aveva annunciato una moratoria sull’invio di lavoratori indonesiani in Arabia Sadita (con data di inizio il 1 agosto), in seguito alla decapitazione di una donna, (in Arabia Saudita vige infatti la pena di morte), una lavoratrice di Giava occidentale accusata di omicidio del proprio datore di lavoro. Il presidente Susilo Mambang Yudhoyono ha affermato che l’esecuzione capitale di Ruyati Binti Sapubi, va “contro le norme” che regolano le relazioni internazionali. Il caso di Ruyati non è il solo in Arabia: ci sarebbero almeno altri 25 lavoratori – secondo le organizzazioni in difesa dei diritti umani – la cui condanna a morte è stata già eseguita: in tutti i casi i lavoratori, in larga maggioranza donne, avevano dichiarato di aver agito in autodifesa per le violenze, anche sessuali, e gli abusi subiti dal proprio datore di lavoro.
Alle richieste di Indonesia e Filippine di maggiori garanzie sia nel processo di assunzione dei lavoratori che nella tutela delle condizioni di base, il portavoce del ministro saudita Hattab Bin Saleh Al-Anzi ha risposto con il blocco del rilascio dei visti. L’invio immediato nel paese del Golfo di rappresentanti diplomatici di Manila mostra però che nonostante il governo filippino abbia fatto la voce grossa con Riyadh, dicendosi pronto a trovare altri mercati occupazionali per i propri connazionali, dall’altra parte teme che il divieto imposto dal paese saudita possa fortemente compromettere la già disastrosa economia filippina, con un quinto della forza lavoro attualmente senza occupazione.
La questione dei lavoratori immigrati in Arabia Saudita, come in altri paesi del Medio Oriente, è da anni una questione spinosa: associazioni e organizzazioni denunciano abusi sia fisici che psicologici e atti di intimidazione, come la requisizione del passaporto, a danno dei lavoratori immigrati e in particolar modo del personale domestico. Ignorati dalle normative in materia di lavoro, in vigore nei paesi di destinazione, rimangono in ostaggio dei loro ricchi padroni. Human Rights Watch, da anni monitora e denuncia le violazioni ai danni di colf, camerieri e badanti, provenienti soprattutto da paesi asiatici e africani, impiegati nelle ricche famiglie arabe in Medio Oriente e nei paesi del Golfo; un popolo d’invisibili, poco più che schiavi: lavorano con orari impossibili, ricevendo poco cibo nelle famiglie che li ospitano, zero ferie, né giorni di riposo. E con salari mensili da fame.
L’Arabia Saudita presenta sicuramente il caso più allarmante. Nel rapporto del 2008, dal titolo “Come se non fossi umano”, Hrw ha analizzato oltre 20 casi di collaboratori domestici che avevano subito situazioni di sfruttamento, abusi verbali, fisici, fino ad arrivare a violenze sessuali.
Sospendendo i rapporti con Manila e Jakarta, non si risolve il problema di fondo in un paese, l’Arabia, che nonostante il supporto incondizionato degli Usa, è indietro nei secoli in quanto a strutture sociali e tutela dei diritti umani: le agenzie di impiego saudita infatti, assetate di manodopera, attingeranno da altri bacini, paesi quali il Bangladesh, l’Etiopia, l’India, il Nepal, lo Sri Lanka.
