La strategia della sopravvivenza per Bashar al Assad e il suo regime si chiama sempre di più “al Qaida”. Nel senso che il regime punta chiaramente ad indicare in al Qaida il suo nemico numro uno, l’autore delle stragi, il possibile “vero vincitore” dello scontro in atto in Siria. Le stranezze nel rafforzamento di di al Qaida in Siria sono numerose: i gruppi qaidisti non hanno mai convinto in passato: Jund al Islam per esempio, uno dei principali gruppi qaidista, venne improvvisamente alla ribalta qualche anno fa, guidato se non formato da un terrorista improvvisamente rilasciato dalle segrete siriane.
Ora accade lo stesso con quello che viene presentato come l’ideologo di al Qaida, Abu Musab al Suri. Un rilascio che non convince per niente, soprattutto se il regime dice, come dice, che il suo nemico numero uno oggi si chiama al Qaida, che in Siria si traduce con il nome al-Suri.
I “buoni rapporti” della Siria con l’Iran rendono difficile a molti analisti credere che al Qaida abbia potuto operare e crescere negli anni passati. Questo l’Iran non lo ha mai consentito nei paesi che ritiene parte della sua “sfera d’influenza”, e lo ha impedito anche finanziando gruppi o movimenti tanto sciiti che sunniti.
La questione al Qaida è decisiva per Assad, per impaurire la comunità internazionale e anche alcune comunità del composito e fragile puzzle siriano, a cominciare dai cristiani, che hanno ovviamente buona memoria di quanto è accaduto ai cristiani iracheni. Per questo è giusto domandarsi quale sia realmente il gioco che il regime siriano sta conducendo nei confronti dell’organizzazione che fu di Bin Laden.