Quando si dice che l’Egitto è il Paese leader del mondo arabo non si esagera. Dopo la sentenza sulla irregolarità formale con cui l’Alta Corte egiziana ha disciolto il Parlamento eletto in Egitto, ecco una nuova sentenza, quasi analoga. Anche il Parlamento kuwaitiano non è stato sciolto regolarmente e quindi quello eletto a febbraio deve andare a casa, torna in carica il precedente.
Lo scrupolo dei giudici kuwaitiani stranamente coincide con la preoccupazione dell’emiro al-Sabah, che trovandosi a fare i conti con un Parlamento dove le opposizioni avevano troppi rappresentanti aveva preferito chiudere l’aula per un mese. Due ministri poi, chiamati in ballo da acuminate interrogazioni parlamentari, avevano preferito presentare le loro dimissioni pur di non dover rispondere ai quesiti posti in aula. Ma ora i giudici, studiate e ristudiate le carte, hanno scoperto che il voto non era stato convocato nel pieno rispetto delle procedure.
Motivazione patetica, come quella egiziana. Al Cairo infatti il Parlamento è stato sciolto per questo motivo: la legge prevede che un terzo dei deputati venga eletto in modo differenziato rispetto ai restanti due terzi: è riservato a candidati indipendenti. Ma siccome i giudici hanno appurato che quei candidati non erano tutti indipendenti, ma anche affiliati a partiti, allora hanno invalidato tutto il Parlamento, non solo il terzo in oggetto.
Sulla situazione kuwaitiana, che ha già innescato rabbiose proteste dell’opposizione interna, non si registra ancora una presa di posizione europea o americana. Sulla situazione egiziana invece, dove per altro è stata rinviato a chissà quando l’annuncio di chi abbia vinto le presidenziali, l’Europa ieri ha espresso “preoccupazione”. Punto.