Non è reato sbirciare tra le mail degli altri

Nel New Jersey, la Corte Suprema dà ragione a un insegnante che aveva letto le mail di una collega. La colpa è di chi non chiude la posta. Bufera in rete.

Non è reato sbirciare tra le mail degli altri
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4 Luglio 2012 - 12.47


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Una “sbirciatina” all’email di un collega in fondo si può dare. Si può spiare, insomma, se il collega si scorda di disconnettersi. E’ questo il senso di una sentenza della Corte Superiore del New Jersey, che sta riempendo le discussioni sui forum. Una sentenza che fa a pugni con il diritto alla privacy, che pure in America non solo è garantito ma è considerato sacro.

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La vicenda comincia quasi un anno fa. Un professore, Wayne Rogers, appena conclusa la sua lezione si prende cinque minuti di pausa e va nella “sala insegnanti”. Dà uno sguardo alle notizie e controlla la posta in uno dei quattro computer in dotazione agli insegnanti. Ad un tratto si accorge che nel computer vicino alla sua postazione c’è ancora un client di posta aperto. Le email sono tutte lì, leggibili, qualche suo collega deve essersi scordato di fare il “log out”.

Così non resiste alla tentazione di dare una “sbirciatina”. Colpito anche dal fatto che subito nota che uno dei messaggi ha come soggetto proprio il suo nome. Si parla di lui, insomma. Non ci pensa due volte e apre la posta del collega. Scopre così che Linda Marcus, presidente dell’associazione sindacale degli insegnanti, dà dei giudizi pessimi su di lui. Giudizio confermato da altri colleghi in altre email.
Lo definiscono, insomma, un po’ falso e forse anche poco intelligente. Wayne Rogers che fa? Decide di stampare le email e se ne va. Un mese dopo, ad una riunione dei docenti, tira fuori la corrispondenza rubata. E accusa la presidente della sua associazione.

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Scioppia un putiferio, ma non quello che lui si aspettava. Linda Marcus ritiene d’essere stata violentemente violata nella sua privacy. Non dedica neanche una parola al collega e si rivolge direttamente al tribunale. Il controllo della posta senza autorizzazione, qui, è considerato un reato. Un reato grave.

Ma in tribunale arriva la sorpresa. Il giudice di prima istanza dichiara che la materia non è ancora regolata e si rimette ai giudici popolari. Che assolvono Wayne Rogers, perché – sostengono – non ha violato la privacy. Non ha insomma craccato nessuna password. Ha solo approfittato di una distrazione della collega. Linda Marcus si appella. E ora è arrivata la sentenza della Corte Suprema: nulla da fare. Anche per i giudici supremi la “colpa” è di chi si dimentica di chiudere la propria posta. E a quel punto, chi vuole, può “sbirciare”. Con o senza permesso.

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