La vittoria di Malala sui talebani

La giovane blogger che lotta per l'istruzione per le donne in Pakistan è sopravvissuta all'aggressione dei fondamentalisti. Ma il problema rimane. [Francesca Marretta]

La vittoria di Malala sui talebani
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11 Ottobre 2012 - 18.34


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da Londra

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Francesca Marretta

A soli 14 anni Malala Yousufzai progetta di fondare un partito politico per promuovere l’istruzione in Pakistan. I talebani hanno provato a chiuderle la bocca, ma sono riusciti nell’intento solo parzialmente. Malala è sopravvissuta all’aggressione armata, rivendicata a inizio settimana dal gruppo talebano Tehreek-e-Taliban Pakistan, attivo nel nord-ovest pakistano. La ragazzina era stata minacciata ripetutamente di morte negli ultimi tre anni.

Malala, blogger dagli occhi chiari, nel 2009, ad undici anni, raccontava sul sito in Urdu della Bbc cosa significasse vivere alla mercé della legge talebana, invece che quella dello Stato. In quel periodo, a Mingora, nella valle dello Swat, comandavano i Talebani, insediatisi impunemente nella zona dal 2007. Le recenti operazioni anti-talebane dell’esercito di Islamabad non sono riuscite a bonificare l’area dall’influenza talebana. L’attentato a Malala lo dimostra. Una situazione del tutto analoga a quanto accade oltreconfine, in Afghanistan.

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Il 14 gennaio di tre anni fa Malala scriveva un post intitolato: Potrebbe essere l’ultima volta che vado a scuola. “Ero di cattivo umore sulla strada della scuola, perché sapevo che le vacanze invernali sarebbero cominciate domani. Il preside ne ha annunciato la data di inizio, ma non ha detto quando la scuola riaprirà. E’ la prima volta che succede. In passato, la data di riapertura era sempre indicata chiaramente. Il preside non ha detto perché non l’abbia fatto stavolta, ma io credo che i talebani abbiano emanato un editto contro l’istruzione femminile, che entrerà in vigore ufficialmente a partire dal 15 gennaio.

Stavolta le ragazze non sono così entusiaste di andare in vacanza, perché sanno che, se i talebani applicano l’editto, non potremo mai più andare a scuola. Alcune compagne erano ottimiste e dicevano che certamente la scuola riaprirà a febbraio, ma altre mi hanno confidato che i genitori hanno deciso di lasciare Swat e di trasferirsi in altre città per il bene della loro istruzione. Visto che oggi era l’ultimo giorno di scuola, abbiamo deciso di giocare nel cortile un po’ più a lungo. Io credo che la scuola un giorno riaprirà, ma mentre tornavo a casa ho guardato l’edificio pensando che potrei non tornarci mai più”.

Lo scorso anno il Primo Ministro pakistano Gilani ha conferito a Malala il National Peace Award, un riconoscimento per l’impegno sociale di questa ragazzina. Le autorità di Islamabad non sono però state in grado di proteggerla.

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In Afghanistan, come in Pakistan, giovani come Malala Yousufzai sono costrette a rinunciare all’istruzione per decreto talebano. A causa di altri fondamentalismi lo stesso accade alle bambine in varie parti del mondo.

Bandiera dell’invasione occidentale in Afghanistan nel 2001 fu il burqa in cui erano costrette le donne di quel paese. Oggi il governo fantoccio che lo governa, sostenuto finanziariamente e militarmente dalla comunità internazionale, intende scendere a compromessi con gli stessi talebani. Facendo dei distinguo nella ricerca di un dialogo, tra i talebani che sparano alle ragazzine e quelli buoni, che, dicono, accetterebbero nientemeno che mandarle a scuola.

Alla luce dell’attentato alla ragazza pakistana, sorge spontanea una domanda. Ma quanti sono, in percentuale, i soldi degli aiuti (pagati dal contribuente del rispettivo contingente della coalizione), che a fronte di interventi anti-talebani, in Afghanistan o Pakistan, sono serviti ad assicurare l’istruzione delle donne?

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Perché in Afghanistan le dirette interessate raccontano che undici anni di intervento “umanitario” non sono bastati a restitur loro dignità. Qualcosa in cui è riuscita, a 14 anni, la pakistana anti-talebana Malala Yousufzai.

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