Muore di Covid Saeb Erekat, segretario generale dell'Olp: l'ultima intervista a Globalist
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Muore di Covid Saeb Erekat, segretario generale dell'Olp: l'ultima intervista a Globalist

Pochi giorni prima di ammalarsi di Covid aveva rilasciato a Umberto De Giovannangeli questa intervista che vi riproponiamo:

Saeb Erekat, segretario generale dell'Olp
Saeb Erekat, segretario generale dell'Olp
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Novembre 2020 - 09.41


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E’ morto Saeb Erekat. Lo ha reso noto Fatah. Il segretario generale dell’Olp, 65 anni, aveva lamentato a metà ottobre in Cisgiordania i primi sintomi di contagio da coronavirus ed era stato trasferito in un ospedale di Gerusalemme.
Pochi giorni prima di ammalarsi di Covid aveva rilasciato a Umberto De Giovannangeli questa intervista che vi riproponiamo:

 

Era la memoria storica dei negoziati con Israele. Per chi scrive, molto di più: un amico. Un amico che non c’è più. Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese è morto questa mattina, 65 giorni dopo essere stato ricoverato d’urgenza per il trattamento di un’infezione da Covid-19.  Erekat, segretario generale dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), era stato ricoverato d’urgenza presso il Centro medico Hassadah di Gerusalemme ed era stato posto in terapia intensiva dopo che le sue condizioni erano peggiorate. Erekat, che nel 2017 era stato sopposto al trapianto di un polmone negli Stati Uniti, era risultato positivo al coronavirus lo scorso 8 ottobre. Dopo il recupero dall’intervento negli Usa, Erekat aveva ripreso quasi completamente l’attività. Negli ultimi anni, si è concentrato soprattutto sui colloqui con i rappresentanti arabi e stranieri che hanno visitato Ramallah. Ha anche accompagnato il presidente palestinese Mahmoud Abbas nei suoi viaggi in tutto il mondo. Da quando è scoppiata la pandemia di coronavirus, non ha lasciato la Cisgiordania, dividendosi tra Ramallah e Gerico, dove viveva con la moglie e i figli.   Erekat era nato il 28 aprile 1955, nel quartiere Abu Dis di Gerusalemme Est, ed è il sesto di sette figli. Gli sono sopravvissuti sua moglie e i suoi quattro figli.

Globalist lo ricorda con l’ultima intervista a un giornale italiano  che ci aveva concesso in esclusiva a commento degli “Accordi di Abramo” tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Che la terra ti sia lieve, Saeb, sadiq, amico mio. Hai combattuto fino all’ultimo dei tuoi giorni per veder realizzato il sogno, il diritto, del tuo popolo alla libertà e all’autodeterminazione.

L’ultima intervista

Si sono sentiti traditi, spiazzati, usati strumentalmente dall’ennesimo “fratello-coltello” arabo. Il “fuoco amico” li ha colpiti di nuovo. Colpiti, ma non affondati. A dar conto della rabbia dei palestinesi per l’”accordo della vergogna”, quello siglato da Israele ed Emirati Arabi Uniti, e della determinazione a contrastare questo “regalo a Israele”, è una delle figure più rappresentative e conosciute a livello internazionale della leadership palestinese: Saeb Erekat, storico capo negoziatore dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), oggi segretario generale dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). In questa intervista esclusiva concessa a Globalist, Erekat lancia un messaggio durissimo alla Lega Araba: “E’ tempo che il segretario generale della Lega Araba convochi la Lega ed emetta una condanna. Se non può farlo, è meglio che si dimetta”. 

Tutte le fazioni palestinesi hanno condannato fermamente l’accordo di pace siglato, con il e sostegno americano, da Israele ed Emirati Arabi Uniti. Ma la rabbia dei palestinesi non sembra aver fatto breccia nelle capitali arabe a partire da Il Cairo, dove ha sede la Lega Araba. Come giudica questo silenzio?

Come un fatto grave, che indebolisce non solo la causa palestinese ma l’intero mondo arabo. Il presidente Abbas aveva chiesto al segretario generale della Lega Araba di esprimere con nettezza una condanna dell’accordo della vergogna. Ciò non è avvenuto. Ma non abbiamo alcuna intenzione di abbassare la guardia: torniamo a chiedere al segretario generale della Lega Araba di convocare una riunione straordinaria della Lega e che sia presa una posizione di assoluta contrarietà a quell’accordo. Se non lo farà, se non può farlo, allora è meglio che si dimetta. Non assumere una posizione chiara e netta in questa vicenda, condanna la Lega Araba all’irrilevanza.

Abu Dhabi sostiene che grazie a quell’accordo, Israele ha dovuto fermare il piano di annessione di parti della Cisgiordania. Invece delle critiche, si aspettano da voi i ringraziamenti?

E di cosa dovremmo ringraziarli? Di aver utilizzato strumentalmente la questione palestinese per un accordo con l’occupante israeliano che con i diritti del popolo palestinese non ha nulla a che fare? E chi avrebbe dato loro il via libera per trattare a nome e per conto dei palestinesi? Vogliono giustificare la stretta di mano virtuale con Netanyahu e Trump? Lo facciano pure, se lo considerano un evento storico, ma non usino i palestinesi per giustificare l’ingiustificabile. Questo non gli è permesso. Quanto poi all’affermazione secondo cui quell’accordo ha posto fine ai propositi d’Israele e del suo primo ministro di istituzionalizzare, attraverso l’annessione, il regime di apartheid di fatto in vigore da tempo in Cisgiordania, qui siamo davvero allo stravolgimento della realtà. Netanyahu è stato fermato dal coronavirus, e dal fatto che pur avendo proclamato ai quattro venti il proposito di annettersi territori palestinesi, un piano preciso, dettagliato, non l’ha mai messo a punto. Perché non era questo che gli interessava. Lui mirava ad altro…

A cosa?

In chiave interna, a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica israeliani dai disastri combinati nella “guerra” al Covid-19, e sul piano internazionale, a ricostruire l’immagine, fortemente deteriorato, di un leader che ambisce alla pace con i Paesi arabi, una sorta di “nuovo Begin”. Netanyahu come è il suo solito, ha cercato di spostare l’attenzione della comunità internazionale dalla realtà, l’apartheid in Cisgiordania, lo strangolamento di Gaza, ad una narrazione, la pace possibile, che non sta in piedi. Perché in quell’accordo spacciato per “storico” non c’è nessun riferimento ad una pace giusta con i palestinesi, l’unica possibile, quella fondata sulla soluzione “a due Stati”. Non c’è alcun riferimento, neanche il più soft, ai crimini commessi da Israele contro la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. Quanto poi alla dismissione da parte israeliana del piano di annessione, essa è stata smentita da Netanyahu ma anche dal signor Koushner (il consigliere-genero del presidente Usa, uno degli ideatori del “Piano del secolo”, ndr). Quel piano è stato “congelato”, “sospeso” ma non tolto dal tavolo. Resta sul tavolo come una pistola puntata alla tempia dei palestinesi. “Se non fate i bravi, lo attueremo e sarà colpa vostra”. Ed è davvero triste leggere che leader europei abbiano presa per buona la narrazione israeliana, affettandosi a chiedere ai palestinesi di non perdere l’ennesima occasione, di non dire sempre dei “no”. So che tra quanti sostengono questa tesi, ci sono anche persone che lo credono veramente. Ed è a loro che mi rivolgo, per dire di guardare in faccia la realtà, di leggere con attenzione cosa c’è scritto e cosa è omesso nel testo di quell’accordo. Se lo faranno, si accorgeranno che siamo di fronte a un grande inganno. La colonizzazione israeliana dei Territori palestinesi continua, così come l’assedio di Gaza. I coloni la fanno da padroni, assaltano la nostra gente, rubano le nostre risorse idriche, distruggono, impunemente, i nostri raccolti. La pulizia etnica a Gerusalemme Est va avanti senza soluzione di continuità. E tutto questo nel più totale disprezzo della legalità internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite che Israele ha sempre ignorato, senza subirne conseguenze sanzionatorie. Questa è la verità storica, supportata da decine e decine di rapporti delle agenzie Onu, delle più importanti organizzazioni umanitarie internazionali. E sul banco degli accusati dovremmo finire noi palestinesi per non aver applaudito a quell’accordo? Mi ascolti bene: sono anni che rappresentanti degli Emirati Arabi e d’Israele stavano trattando quell’accordo, questo ormai è di dominio pubblico. Ma mai, dico mai, qualcuno di loro si è sentito in obbligo di discuterne con i legittimi rappresentati del popolo palestinese, con il presidente Abbas. Mai. E oggi vorrebbero parlare a nome nostro. Questo è inconcepibile, intollerabile. Chi ha preso questa decisione deve assumersene tutte le responsabilità. Restare in silenzio, vuol dire esserne complici. Quanto poi a coloro che affermano che i palestinesi sanno dire solo dei “no” e che non hanno una visione della pace, rispondo che la nostra visione della pace si basa sulla fine dell’occupazione israeliana, verso il raggiungimento di uno Stato indipendente e sovrano della Palestina nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Questa è la concessione storica per la pace che abbiamo fatto nel 1988, accettando il controllo di Israele sul 78% della Palestina storica. Chiediamo una libera Palestina che coesista in pace, sicurezza e prosperità con il resto della regione. Tutte le questioni relative allo status permanente dovrebbero essere risolte in modo equo che rispetti il diritto internazionale e le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite. L’Arab Peace Peace Initiative sarà il punto di accesso per ulteriori relazioni diplomatiche e commerciali tra le varie parti. Mi lasci aggiungere che questa visione è assolutamente in linea con quanto contenuto nella Road Map del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Onu, Ue, ndr) e con le risoluzioni delle Nazioni Unite.  Non siamo stati noi ad abbandonare questa strada, o a venir meno agli Accordi di Oslo-Washington del ’93. Non siamo stati noi ad aver portato avanti azioni unilaterali che hanno di fatto cancellato la soluzione a due Stati. Non siamo stati soli allora, e non lo saremo oggi nel contrastare quell’accordo che allontana ancora di più la pace.

Pesano i silenzi di molti leader arabi?

Non sarei onesto con lei se dicessi che non pesano. Ma va anche detto che l’invito del presidente americano a seguire la strada tracciata dagli Emirati Arabi non sembra aver riscontrato un grande successo. Il signor Trump può provare a utilizzare quell’accordo in vista del voto del 3 novembre, ma sulle dinamiche regionali non avrà alcuna incidenza. La storia insegna che le divisioni tra gli arabi hanno sempre finito per favorire Israele. La pace si fa con i palestinesi non sui palestinesi o contro la loro volontà.

 

 

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