Regeni e Zaki: quando all'Eliseo Macron fa il "fratello coltello"

Al Sisi è andato in Francia e il presidente si è ben guardato di dire una sola parola su Giulio Regeni e Patrick Zaki. Anzi...

Macron e Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Dicembre 2020 - 17.03


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Giulio Regeni era un cittadino europeo. Non solo per il passaporto, ma perché collaborava con una prestigiosa università inglese e, soprattutto, perché nel suo modo di agire e pensare incarnava quei principi e valori di inclusione, attenzione per i diritti umani, civili, sociali che sono a fondamento dell’Europa, non solo come Unione ma come civiltà. E lo stesso profilo a Patrick Zaki. Giulio e Patrick: due giovani europei. Ma c’è chi se n’è dimenticato o, e qui il francesismo è quanto mai appropriato, se n’è ampiamento fregato. Tanto di non nominarli nemmeno di striscio nel suo incontro con il presidente-carceriere egiziano. E’ il “fratello coltello” dell’Eliseo: il presidente francese Emmanuel Macron.

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Affari vs diritti

Quanto al Abdel Fattah Al Sisi, dalla sua tre giorni francese, il presidente-carceriere ridimensiona le proteste delle Ong sul mancato rispetto dei diritti umani in Egitto. E condanna pure quelle di governi alleati dell’islam politico che in diverse latitudini hanno messo nel mirino il presidente Emmanuel Macron.

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L’Eliseo ringrazia smussando gli angoli sulla «questione egiziana» che tiene banco da giorni grazie alla mobilitazione internazionale di star del cinema e attivisti: per l’appunto, gli arresti arbitrari tra cui quello di Zaki. Ieri mattina la corte antiterrorismo aveva appena confermato il carcere. Ma in conferenza stampa Macron non pronuncia neppure il nome dello studente agli arresti da 10 mesi, sigillando un’alleanza tra Parigi e il Cairo che si muove su più fronti. Dal comune orientamento sul futuro della Libia (dove si rischia l’islamizzazione del Paese sospinta da Recep Tayyp Erdogan, che Parigi vuol scongiurare) all’opposizione alle trivellazioni turche nel Mediterraneo orientale (con La Francia che partecipa alla sorveglianza Nato delle acque, e dove recentemente ha intercettato dei turchi che trasportavano armi proprio per la Libia).

Macron si è dunque limitato a proclamarsi “promotore di un’apertura democratica” e del “riconoscimento di una società civile dinamica e attiva”. Il minimo sindacale. Senza nessun accenno pubblico allo studente egiziano, che al Cairo era volato per vedere la famiglia. E che invece, come aveva ricordato l’attrice Scarlett Johansson in un video, è stato “torturato dopo essere stato arrestato dalla polizia egiziana. Accogliendo favorevolmente il rilascio di «tre membri di Ong» (liberati giovedì dal Cairo dopo la mobilitazione degli influencer) l’inquilino dell’Eliseo spiega d’aver avuto con al-Sisi «l’opportunità di evocare come si fa tra amici, con franchezza, la questione dei diritti umani».

Esistono certamente «disaccordi» tra Francia ed Egitto, ma «non condizionerei la cooperazione sui dossier economici e di difesa» a questi «disaccordi», ha ammesso Macron. Da ieri, l’intesa tra i due Paesi è più solida. Pur a prezzo del silenzio su Zaki. D’altronde tra il 2013 e il 2017, ricorda Amnesty (che definisce «sconcertante» la decisione dei giudici) la Francia è diventata il primo fornitore d’armi dell’Egitto: «Nel 2017 ha venduto più di 1,4 miliardi di euro di attrezzature», tra cui tecnologie di sorveglianza usate contro gli oppositori. Numeri che hanno influenzato l’incontro tra i due. Macron ha usato i guanti di velluto. Parigi e Il Cairo restano alleate in Libia in chiave pro-Haftar, e più in generale nella guerra ai Fratelli musulmani: che la Francia (come l’Austria) ha intrapreso in patria senza troppo sostegno degli altri Paesi Ue.

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Al-Sisi sta portando avanti la più grande repressione contro il dissenso nel Paese, incarcerando migliaia di islamisti insieme ad attivisti pro-democrazia, cancellando le libertà conquistate nella rivolta della Primavera araba del 2011, mettendo a tacere le voci critiche e imponendo regole severe sui gruppi per i diritti umani”, scrive l’Afp. Il leader egiziano spesso giustifica il pugno duro, usato contro il dissenso, affermando che garantire la stabilità è necessario e ponendo come alternativa la guerra e i conflitti in Siria, Yemen e Libia. 

Le armi francesi in Egitto

Per Amnesty International, “ricevere il presidente al-Sisi in visita ufficiale senza sollevare adeguatamente queste preoccupazioni, mentre tanti attivisti e difensori dei diritti rimangono detenuti esclusivamente per il loro lavoro sui diritti fondamentali, spesso sulla base di accuse palesemente false di terrorismo, saboterebbe gli sforzi dichiarati della Francia a favore dei diritti umani e minerebbe la sua credibilità in molti Paesi della regione”. 

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Per Parigi, l’Egitto è un partner centrale nei difficili equilibri nella regione. Tra il 2013 e il 2017, secondo Amnesty, la Francia è diventata il principale fornitore di armi del Paese: “Solo nel 2017 ha venduto più di 1,4 miliardi di euro di attrezzature militari e di sicurezza”, tra cui anche tecnologie di sorveglianza usate contro gli oppositori. Amnesty ricorda le “informazioni credibili sull’uso delle armi francesi nella repressione violenta delle manifestazioni” e “delle operazioni di antiterrorismo nel Sinai, tra cui esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e arresti arbitrari”.

Annota Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:” Un rapporto di Amnesty International mette in evidenza il ruolo della Francia, sostenendo che veicoli blindati forniti da Parigi sono stati usati con esiti mortali dalle forze di sicurezza egiziane per disperdere ripetutamente e violentemente le proteste e stroncare il dissenso. Tra il 2012 e il 2016 la Francia ha fornito all’Egitto più armi di quante gliene aveva inviate nei 20 anni precedenti. Nel 2017 ha trasferito al paese nordafricano forniture militari e di sicurezza per un valore di oltre un miliardo e 400.000 euro. Il 14 agosto 2013 blindati Sherpa forniti dalla Francia vennero usati dalle forze di sicurezza egiziane per i sopra citati massacri delle piazze cairote..”.

Il rapporto, intitolato “Egitto: come le armi francesi sono state usate per stroncare il dissenso”, si basa su oltre 20 ore di immagini open source, centinaia di fotografie e 450 gigabyte di ulteriore materiale audiovisivo fornito da organi d’informazione e gruppi per i diritti umani egiziani. La chiara conclusione è che veicoli Sherpa e Mids sono stati usati durante alcuni dei peggiori episodi di repressione interna da parte delle forze di sicurezza egiziane.

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“Che la Francia abbia continuato a inviare all’Egitto forniture militari dopo che erano state usate in uno dei peggiori attacchi contro i manifestanti del XXI secolo, è un fatto agghiacciante”, ha dichiarato Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International.

“Il fatto che questi trasferimenti siano stati effettuati e ancora proseguano sebbene le autorità egiziane non abbiano intrapreso alcuna azione per accertare le responsabilità e per porre fine al loro sistema di violazioni dei diritti umani, rischia di rendere la Francia complice nell’attuale crisi dei diritti umani in Egitto”, ha continuato Bounaim.

Abbiamo fatto presente più volte alle autorità di Parigi l’abuso fatto delle forniture militari e abbiamo ripetutamente chiesto di chiarire completamente l’ammontare e la natura di questi trasferimenti, così come chi fosse l’utilizzatore finale. Finora il governo francese non ha dato risposte adeguate, ha rimarcato Bounaim.

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Le autorità francesi hanno dichiarato ad Amnesty International di aver autorizzato forniture all’esercito egiziano destinate solamente alla “lotta al terrorismo” in Sinai e non a operazioni di ordine pubblico.

Tuttavia, nelle immagini e nei filmati analizzati da Amnesty International, le insegne delle Forze operative speciali del ministero dell’Interno e delle Forze centrali di sicurezza appaiono sulla carrozzeria dei blindati forniti dalla Francia. La parola “Polizia”, a sua volta, si vede benissimo sulle targhe dei veicoli impiegati per il mantenimento dell’ordine pubblico nella capitale egiziana.

Un funzionario francese ha ammesso ad Amnesty International che mentre le forniture di sicurezza all’Egitto erano destinate all’esercito, le autorità egiziane hanno trasferito alcuni veicoli blindati alle forze di sicurezza.

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Il precedente di Hollande

Un passo indietro nel tempo. 18 aprile 2016.  Scrive Barbara Serra, conduttrice per Al Jazeera English, sul suo blog su Huffington Post: Se c’era ancora qualche animo nobile che credeva nell’esistenza di una politica estera europea allineata e solidale, quest’ultimo si sarà definitivamente ricreduto guardando le immagini del presidente francese in Egitto. Poco più di una settimana dopo che l’Italia ha richiamato il proprio ambasciatore al Cairo per la mancanza di trasparenza nell’indagine della morte di Giulio Regeni, Francois Hollande è arrivato in Egitto per consolidare l’alleanza economica e militare fra i due paesi. Bandiere egiziane e francesi svolazzano per le strade principali di Cairo. I muri addobbati con vari poster dei due capi di stato sottolineano l’importanza della visita. È facile capire perché. L’Egitto ha bisogno delle armi che la Francia è disposta a vendergli, e gode della legittimità internazionale che la visita di Hollande conferisce ad al-Sisi. La Francia intanto firma contratti per la vendita d’armi per un valore di oltre un miliardo di dollari, e sostiene un alleato indispensabile nella guerra contro il terrorismo.  Ragioni non sufficienti per ignorare la vera natura del governo al-Sisi per Amnesty International, che ha accusato la Francia di silenzio assordante riguardo le accuse di violazioni dei diritti umani in Egitto. Conscio di queste accuse, il Presidente francese ha menzionato ad al-Sisi sia il caso di Giulio Regeni sia quello del francese Eric Lang, picchiato a morte nel 2013 in un commissariato egiziano. Hollande ha affermato che si può lottare contro il terrorismo senza violare i diritti umani. La risposta di al-Sisi, che l’Egitto non può aderire agli standard europei dei diritti umani, non è certo rassicurante. Ma per quanto possa stonare con le nostre sensibilità europee, siamo noi i primi a dare due pesi e due misure quando trattiamo con il Medio Oriente. Un paio di frasi scomode durante una conferenza stampa non contano poi tanto se il giorno dopo si firmano contratti di miliardi…”.

Null’altro da aggiungere. Ma solo da riflettere e tanto sui fratelli-coltelli transalpini.

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