Migranti, l'autocrate bielorusso contro il liberticida polacco. Povera Europa...

Un autocrate e un primo ministro che definire reazionario è usare un eufemismo. Si minacciano, si blindano e usano una moltitudine di disperati come arma di ricatto.

Migranti ai confini tra Polonia e Bielorussia
Migranti ai confini tra Polonia e Bielorussia
Preroll AMP

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Novembre 2021 - 15.43


ATF AMP

Un autocrate e un primo ministro che definire reazionario è usare un eufemismo. Si minacciano, si blindano e usano una moltitudine di disperati come arma di ricatto. E uno dei due, tira strumentalmente in ballo l’Europa.

Top Right AMP

Autocrati contro

Per il premier polacco, Mateusz Morawiecki, la crisi dei migranti al confine bielorusso è una minaccia per tutta l’Unione europea. “Sigillare il confine polacco è nel nostro interesse nazionale – ha scritto infatti il capo del governo su Twitter -. Ma oggi sono in gioco anche la stabilità e la sicurezza dell’intera Ue”. “Questo attacco ibrido del regime di Lukashenko è rivolto a tutti noi. Non ci faremo intimidire e difenderemo la pace in Europa con i nostri partner della Nato e dell’Ue”, ha aggiunto Morawiecki. Il pensiero della Polonia, condiviso non solo dall’Ue ma anche da Stati Uniti e Nato, è infatti chiaro: c’è il regime bielorusso di Lukaschenko dietro la crisi migratoria che nella giornata di lunedì ha visto, presso il villaggio di Kuznica Bialostocka, al confine tra Polonia e Bielorussia, le autorità polacche respingere almeno 500 migranti. Migranti che erano stati scortati lungo le reti di confine dall’esercito di Minsk.

Dynamic 1 AMP

Visti turistici e promesse di entrare in Europa

Secondo Europa e Usa, infatti, Lukashenko sfrutterebbe la disperazione dei migranti, provenienti soprattutto da Iraq e Siria, per far vacillare l’Europa, per creare instabilità e accusare poi la Polonia di voler costruire muri e respingere persone in fuga dalla guerra. Alcuni media internazionali (tra cui Guardian e Bbc) hanno riportato notizie secondo cui in diverse ambasciate bielorusse in Medio Oriente vengono distribuiti visti turistici per Minsk o addirittura offerti pacchetti di viaggio da agenzie turistiche al salatissimo prezzo di 10-15 mila euro. Con la promessa, naturalmente, di entrare in Europa. 

 Minsk respinge le accuse e mette in guardia

Dynamic 1 AMP

 Tutte accuse che la Bielorussia smentisce con fermezza. “Il ministero della Difesa bielorusso ritiene infondate e non comprovate le accuse da parte polacca”, si legge in un comunicato della Difesa di Minsk che accusa la Polonia di aumentare la tensione “deliberatamente”. La Polonia, dal canto suo, insiste e chiede sanzioni. E dal governo polacco non arrivano solo smentite ma veri e propri avvertimenti: “Vogliamo anticipatamente mettere in guardia la parte polacca contro l’utilizzo di qualsiasi provocazione per giustificare eventuali azioni bellicose illegali” contro i migranti”, fa sapere il ministero degli Esteri bielorusso. 

 La Polonia chiede sanzioni 

Il ministero degli Esteri polacco, infatti, ha chiesto l’immediata adozione di sanzioni contro tutti gli individui e le entità che hanno avuto un ruolo nella crisi dei migranti al confine con la Bielorussia. “Le sanzioni devono essere immediatamente imposte a tutti gli individui e le entità coinvolti in questo orribile attacco ibrido”, si legge sull’account Twitter del ministero polacco. 

Dynamic 1 AMP

 La posizione dell’Ue 

 “La nostra priorità più urgente” è chiudere i rubinetti degli arrivi di migranti “all’aeroporto di Minsk”. E’ quanto scrive la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, su Twitter. “Mentre intensifichiamo i contatti con i Paesi partner, continuerò a dare priorità alla protezione dell’integrità delle nostre frontiere esterne”, aggiunge Johansson. Secondo la versione europea, il regime di Lukashenko organizza voli di richiedenti asilo per attacchi ibridi alle frontiere dell’Unione europea, in Polonia, Lituania e Lettonia, come ritorsione contro le sanzioni dell’Unione europea. 

L’autocrate al potere da sempre

Dynamic 1 AMP

Scrive Andrea Gaiardoni, su boLive, il portale dell’Università di Padova: “Più si scava tra le pieghe della repressione imposta dalla dittatura e più emerge l’orrore quotidiano che i bielorussi devono quotidianamente affrontare, Il rapporto mondiale 2021 di Human Rights Watch, nel riferire delle vittime negli scontri tra manifestanti e polizia, dedica un capitolo al trattamento riservato ai reclusi, basato sulle testimonianze di chi l’ha vissuto di persona. «Ex detenuti hanno descritto percosse, posizioni di stress prolungato, scosse elettriche e, in almeno un caso, stupro. Alcuni avevano lesioni gravi, ossa rotte, ferite alla pelle, ustioni elettriche o lievi lesioni cerebrali traumatiche. Nelle strutture di detenzione la polizia ha picchiato i detenuti e li ha costretti a mantenere posizioni di stress per ore, poi li ha tenuti per giorni in celle sovraffollate. La polizia ha spesso negato loro cibo e acqua e ha negato le loro richieste di andare in bagno. La polizia e le guardie delle strutture di detenzione hanno confiscato i farmaci ai detenuti, spesso hanno ignorato le richieste di cure mediche e in alcuni casi le hanno negate del tutto. Ai detenuti è stato negato l’accesso a un avvocato. Quelli portati davanti a un giudice hanno affermato che il procedimento è durato solo pochi minuti e si è concluso con brevi pene detentive per reati amministrativi».

Reprimere il dissenso a ogni costo

Lukashenko ha un vizio antico come la dittatura: chi si oppone a lui, dev’essere eliminato, messo in carcere o altro. Chi ci mette la faccia finisce sulla lista nera: e non soltanto esponenti politici di opposizione, ma anche uomini d’affari e dipendenti di società che in qualche modo sono sospettati di “vicinanza” alla causa di chi si oppone al dittatore, e che perciò vengono arrestati e condannati senza troppe spiegazioni con l’accusa di evasione fiscale o frode. E non va meglio per i ragazzi, per gli studenti: in molti, solo per la colpa di aver espresso un’opinione politica, sono stati espulsi dalle Università, alcuni messi in carcere, altri costretti all’esilio. Ma basta un niente per finire nel mirino della polizia. Come la traduttrice Volha Kalatskaya, finita a processo per aver colpito con uno schiaffo (in realtà appena sfiorato, come si evince chiaramente da un video postato   sulla pagina Facebook dell’Associazione Bielorussi in Italia “Supolka”) un giornalista filo-regime. Rischia fino a 6 anni di reclusione per il reato di teppismo. La stessa Associazione dà notizia dell’arresto di una donna di 38 anni, Volha Zalatar, madre di 5 figli, arrestata la settimana scorsa mentre accompagnava la figlia di 10 anni alla lezione di musica. Il motivo del fermo l’ha spiegato in una nota lo stesso Ministero degli Interni: “Per attività di protesta, essendo l’amministratrice della chat del cortile locale e perché organizzava eventi di massa non autorizzati: tea party, passeggiate, concerti”. La donna era stata osservatrice indipendente alle elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 e non era stata ammessa allo spoglio elettorale. Dopo le elezioni aveva continuato il volontariato per aiutare i detenuti politici. La sera stessa della sua cattura è stato arrestato anche il marito, poi condannato a dieci giorni di reclusione per aver appeso una bandiera bianco-rossa-bianco (i colori della “vecchia” bandiera bielorussa, sostituita da Lukashenko nel ’95 con il vessillo rosso-verde) alla finestra del suo appartamento”. Katsiaryna Shmatsina, ricercatrice presso l’Istituto bielorusso di studi strategici (ICSID), non si fa troppe illusioni: «Una cosa è chiara: il regime è pronto a reprimere la protesta ad ogni costo». Nella sua analisi recentemente pubblicata sulla crisi post-elettorale in Bielorussia la ricercatrice sostiene: «Ci sono state importanti proteste post-elettorali nel 2006 e nel 2010. Ciò che è diverso questa volta è che la società sembra aver raggiunto il punto di svolta: la tortura e la brutalità della polizia antisommossa non fermano più le persone. Inoltre c’è l’indignazione causata dalla gestione da parte del governo della pandemia Covid-19, in particolare il modo in cui le autorità hanno negato la portata del problema («Hockey, vodka e sauna: così si combatte il Coronavirus», sosteneva lo scorso anno Lukashenko, ndr), coprendo le statistiche e costringendo i dipendenti del settore statale a lavorare senza misure protettive speciali. Nel frattempo, gli operatori sanitari che hanno segnalato i difetti del sistema sanitario sono stati multati o licenziati”.

Dynamic 1 AMP

Gli fa eco Emanuela Calaci su Euroactiv.it: “La storia personale di Lukashenko, nato il 30 agosto 1954 a Kopys, è in continuità con il passato sovietico della Bielorussia, mai del tutto archiviato. Nel 1990, anno dell’indipendenza dall’Unione sovietica, Lukashenko venne eletto come parlamentare e creò il gruppo “Comunisti per la democrazia”. In precedenza aveva preso parte all’attività politica del partito comunista a livello locale, con ruoli di amministratore nelle aziende agricole collettive di stato. Lukashenko è stato l’unico deputato del parlamento bielorusso che si oppose all’accordo del dicembre 1991 per la dissoluzione dell’Unione sovietica. La sua formazione comunista non lo abbandonò nemmeno da presidente eletto nel 1994, quando mantenne l’impalcatura statale ereditata dal regime comunista decaduto e rifiutò le indicazioni di riforma presentate dal Fondo monetario internazionale. Nello stesso anno si rivolse al parlamento russo, la Duma, per lavorare all’istituzione di una nuova comunità di Stati ex sovietici. La Bielorussia è l’unico Stato nella comunità che ha mantenuto la struttura del Kgb, la polizia segreta sovietica. Nel 1999 Lukashenko e Yeltsin firmarono il trattato per la creazione dello Stato Unitario, che rinforzava la cooperazione tra Russia e Bielorussia nel rispetto della reciproca indipendenza. 

Per rimanere al potere per 26 anni, Lukashenko ha esteso i suoi poteri attraverso 3 referendum. Il primo, nel 1995, ha introdotto il russo come lingua ufficiale del Paese e dato il potere al presidente di sciogliere il Parlamento in caso di “attentato alla costituzione”. Il secondo, nel 1996, ha modificato la Costituzione per trasformare la Bielorussia in una repubblica presidenziale. Il presidente ha ottenuto in questo modo i poteri per nominare i giudici della Corte costituzionale e la possibilità di governare attraverso “ordini esecutivi”. Con il referendum del 2004, Lukashenko ha esteso il mandato presidenziale “a vita”, eliminando il limite dei due mandati.

Corruzione, repressione politica e dei media sono un altro aspetto controverso del regime Lukashenko. Questo esercizio del potere comprende arresti arbitrari, violazione della privacy, controllo delle reti associative e del potere giudiziario. Secondo il rapporto sui diritti umani del dipartimento di Stato americano “le autorità a tutti i livelli hanno spesso operato nell’impunità e non hanno preso i necessari provvedimenti per perseguire o punire gli amministratori nel governo e le forze di sicurezza che hanno commesso abusi sui diritti umani”.

Dynamic 1 AMP

Varsavia nera

E qui ci è di grande aiuto un grand’angolo dell’aprile scorso di Carlo Bonini e Tonia Mastrobuoni per La Repubblica. Di seguito alcuni passaggi: “Nell’impotenza di Bruxelles, la Polonia governata da Mateusz Morawiecki, economista classe 1968, e presieduta da Andrzej Duda, entrambi esponenti del partito della ultradestra clericale “Diritto e Giustizia” (fondato nel 2001 dai gemelli Lech e Jaroslaw Kaczynski), ha sistematicamente svuotato le fondamenta di questa repubblica semipresidenziale dei suoi diritti fondamentali, fino a renderli dei simulacri. Dalla messa al bando del diritto di aborto, alla discriminazione sistematica delle donne, di gay e Lgtb+, al controllo sistematico dei mezzi di informazione, fino alla subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo, non c’è spazio o anche solo interstizio della società polacca immune dalla cura sovranista. Siamo andati a Varsavia e Cracovia per raccogliere le voci e le testimonianze di chi, con coraggio, continua a richiamare l’attenzione dell’Unione Europea su questa catastrofe del modello di democrazia e, per questo, continua a pagare un prezzo altissimo”.

Contro i migranti

Dynamic 1 AMP

Il 14 ottobre scorso, I legislatori del parlamento polacco hanno approvato una serie di misure volte a contrastare l’immigrazione proveniente dal confine bielorusso: oltre a legalizzare i respingimenti, è stato dato il semaforo verde al piano del governo di erigere un muro lungo la frontiera, un progetto del costo di 353 milioni di euro. Con la nuova legge, un cittadino straniero sorpreso ad attraversare il confine polacco illegalmente sarà obbligato a lasciare immediatamente il Paese e gli sarà vietato l’ingresso per un periodo di tempo variabile “tra sei mesi  e tre anni”. Le autorità polacche avranno inoltre la facoltà di ignorare le richieste di asilo effettuate da cittadini stranieri fermati immediatamente dopo essere entrati nel Paese illegalmente, a meno che non arrivino da uno Stato in cui “la loro vita e libertà sia messa in pericolo”. Varsavia è già sotto accusa da parte delle ong per i respingimenti di migranti al confine con la Bielorussia ed è stata criticata per aver imposto lo stato di emergenza alla frontiera, impedendo così l’accesso alle organizzazioni umanitarie e ai giornalisti. Giovedì scorso, inoltre, la polizia polacca ha dichiarato di aver ritrovato un migrante morto lungo il confine con la Bielorussia, la settima vittima nella zona da quanto è iniziata l’ondata. Lo scorso mese, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si è dichiarata “scioccata e costernata” da queste morti.

In agosto Christine Goyer, rappresentante dell’Unhcr in Polonia, ha ricordato a Varsavia che “secondo la Convenzione sui rifugiati del 1951, di cui la Polonia è firmataria, le persone che chiedono asilo non dovrebbero mai essere penalizzate, anche per l’attraversamento irregolare della frontiera”.

Ad aprile – documenta il rapporto 2020-2021 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo –   la Corte di giustizia dell’Ue (Cgue) ha stabilito che la Polonia non aveva adempiuto ai propri obblighi ai sensi del diritto comunitario, rifiutandosi di ricollocare i richiedenti asilo nell’ambito del programma di ricollocazione dell’Ue.

Dynamic 1 AMP

A luglio, la Corte europea dei diritti umani ( Cedu si è pronunciata contro la Polonia, concludendo che la situazione ai valichi di frontiera costituiva un trattamento disumano o degradante, poiché le autorità si sono rifiutate di accettare domande di asilo e hanno condotto rimozioni sommarie, che hanno messo alcune persone in pericolo di essere trasferite con la forza in un luogo in cui erano a rischio di gravi violazioni dei diritti umani (refoulement).

A causa della pandemia da Covid-19, l’ufficio per gli stranieri ha sospeso i servizi di assistenza diretta e si sono avute alcune limitazioni alla presentazione delle domande di asilo ai valichi di frontiera.

Lukashenko versus Morawiecki. Un vecchio adagio romanesco recita: “Il più pulito c’ha la rogna”…E i detti popolari sono ad alta densità di saggezza. 

Dynamic 1 AMP

 

 

 

Dynamic 1 AMP

 

 

 

Dynamic 1 AMP

 

 

 

Dynamic 1 AMP
FloorAD AMP
Exit mobile version