Quel bimbo morto assiderato e i "furbetti" dei respingimenti sostenuti dall'Europa

Dodicimila soldati per frenare l’”invasione” di duemila disperati. E’ la vergogna polacca. Ingiustificabile, neanche se viene chiamato in causa il despota di Minsk

Quel bimbo morto assiderato e i "furbetti" dei respingimenti sostenuti dall'Europa
Migranti al confine tra Polonia e Bielorussia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Novembre 2021 - 18.10


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Dodicimila soldati per frenare l’”invasione” di duemila disperati. E’ la vergogna polacca. Ingiustificabile, neanche se viene chiamato in causa il despota di Minsk: il presidente-padrone della Bielorussia, Alexandr Lukashenko., che usa i migranti come arma di ricatto contro l’Ue per le sanzioni comminate. 

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L’accampamento di migranti in Bielorussia al confine con la Polonia è stato sgomberato dalle autorità locali. Lo riferiscono i media di stato di Minsk. Le persone che da giorni si trovavano nella zona frontaliera tra il villaggio bielorusso di Bruzgi e quello polacco di Kuznica sono state trasferite in una struttura ad alcune centinaia di metri di distanza. Lo sgombero è stato confermato dalle guardie di frontiera polacche, secondo il Guardian. 

Un centinaio dei migranti che si affollano ormai da giorni al confine tra la Polonia e la Bielorussia sono stati arrestati in Polonia nella notte fra mercoledì e giovedì. A riferirlo è il ministero polacco della Difesa. Un bimbo morto nella foresta .

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Lacrime di coccodrillo

Un bimbo di un anno è morto nella foresta al confine tra Bielorussia e Polonia, dove si trovava da un mese e mezzo con i genitori siriani, che speravano di riuscire a entrare nell’Ue. Lo riferisce su Twitter il centro polacco per l’aiuto internazionale, che sono intervenuti sul posto l’altra notte. I genitori del piccolo erano entrambi feriti: il padre aveva una lesione al braccio, mentre la madre una ferita da coltello alla gamba. Nel corso dell’intervento di soccorso, aggiunge l’Ong, è stato trovato anche un giovane in condizioni di disidratazione e denutrizione. 

Sassoli: disumanità deve cessare.

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 “Seguo le tragiche notizie dal confine tra Polonia e Bielorussia dove un bambino di un anno è stato trovato senza vita nella foresta. E’ straziante vedere un bambino morire di freddo alle porte d’Europa. Lo sfruttamento dei migranti e dei richiedenti asilo deve cessare, la disumanità deve cessare”, scrive su Twitter il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.   

Con Varsavia, senza vergogna

“Chiediamo al regime di cessare immediatamente la sua campagna aggressiva e di sfruttamento al fine di prevenire ulteriori morti e sofferenze. È necessario fornire alle organizzazioni internazionali un accesso immediato e senza ostacoli per fornire assistenza umanitaria”. Lo scrivono in una nota i ministri degli esteri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America) insieme all’Alto rappresentante dell’Unione europea, condannando “l’orchestrazione della migrazione irregolare da parte del regime bielorusso attraverso i suoi confini. Questi atti insensibili stanno mettendo a rischio la vita delle persone. Siamo uniti nella nostra solidarietà con la Polonia, così come la Lituania e la Lettonia, che sono state prese di mira da questo uso provocatorio della migrazione irregolare come tattica ibrida”.

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Avete letto bene: Uniti nella solidarietà alla Polonia! La Polonia che costruisce muri, militarizza il confine, respinge a forza duemila disperati e ha il coraggio di gridare all’invasione e chiedere protezione alla Nato e soldi a Bruxelles.

 Ue: altre sanzioni in arrivo

 “Sulle sanzioni contro la Bielorussia assolutamente niente è cambiato, la nostra posizione rimane la stessa”, ha detto il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer, nel briefing con la stampa rispondendo a chi gli chiedeva se i colloqui con Minsk potevano significare un allentamento delle sanzioni. “La Commissione concorda con il quadro allargato di sanzioni che include anche chi partecipa alla strumentalizzazione dei migranti. Sulla lista concreta dei soggetti per le nuove sanzioni c’è una discussione al Consiglio che rimane confidenziale”, ha aggiunto il portavoce per gli affari esteri, Peter Stano. 

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L’altra Polonia

Quella della solidarietà. A raccontarla su Avvenire è Francesca Ghirardelli: “Arriva la chiamata d’emergenza e la squadra di turno entra in azione: un medico, un infermiere e un paramedico, sulle tracce di chi si trova in difficoltà da qualche parte nella fitta boscaglia di Bialowieza, che si estende per chilometri tra Polonia e Bielorussia. In uno degli interventi al confine, il team di Medycy na Granicy (Medici sulla frontiera) si è trovato a soccorrere una donna siriana che vagava per i boschi con una bambina di due anni. Quando i volontari l’hanno raggiunta, la donna non era più in grado di camminare. Grave ipotermia, la diagnosi. La bambina era seduta accanto a lei, nel profondo della foresta.

Da un mese, ogni giorno e a tutte le ore, i 33 professionisti sanitari di Medycy na Granicy, colleghi di corsia e amici di vecchia data, rispondono agli Sos delle diverse Ong impegnate sul lato polacco della frontiera. «Ci siamo riuniti all’inizio di questa crisi. La nostra base è Bialystok, nella Podlachia, ma riusciamo a intervenire lungo tutto il confine», assicura al telefono Jakub Sieczko, anestesista e coordinatore del gruppo. 

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«Siamo a 700 metri dall’area di confine posta in stato di emergenza, interdetta a Ong e media, per la quale a settembre abbiamo presentato richiesta formale d’accesso al ministero degli Affari interni. È stata respinta. Diamo assistenza a chi riesce a uscire da quella zona ma si perde, resta nascosto, a chi è nei boschi da giorni o settimane. Riscontriamo casi di ipotermia, disidratazione, disturbi gastrici, malnutrizione, traumi e ferite a piedi, viso e occhi perché ci si muove al buio, tra i rami. Senza medicinali, chi ha patologie croniche peggiora».

Ci dice della sorpresa di trovare un alto numero di donne incinte (e di dovere eseguire ecografie fra gli alberi, nell’oscurità) e dei tanti minori. «Una notte, in un gruppo di 32 persone, abbiamo contato 16 bambini». Difficile talvolta convincere i pazienti critici a ricoverarsi, temono di venire denunciati o prelevati dalle autorità direttamente in corsia, come accaduto nell’ospedale di Hajnówka. Negli ultimi giorni, due episodi hanno turbato il lavoro del team: il ritrovamento dell’ambulanza con le gomme sgonfiate e «del personale in uniforme che si allontanava a bordo di un mezzo dell’esercito polacco» e il danneggiamento, domenica, delle auto dei volontari. 

«Questa è una regione in cui il movimento nazionalista è forte – spiega Sieczko –. Eppure ampia parte della società polacca ci appoggia. Ad inizio attività in tre giorni abbiamo raccolto 80mila euro di donazioni. Anche la solidarietà dei colleghi è stata commovente. Abbiamo ricevuto molte proposte di medici e infermieri che volevano unirsi a noi. Per il primo soccorso, poi, a centinaia tra residenti locali e volontari di altre Ong hanno partecipato ai nostri corsi. Disponiamo di risorse, equipaggiamento, personale e competenze, l’unica cosa che ci manca è la firma del Ministero per recarci là dove la crisi è più acuta». 

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Un gruppo di rettori di università e presidenti di società scientifiche ha scritto al ministro degli Interni Mariusz Kaminsky per esortarlo a concedere il permesso. Poi c’è la forza che arriva dalla rete, dai 20mila follower sui social media. 

Un sostegno che ha garantito interventi costanti, compreso quello di Agata Bryk, infermiera di Varsavia che online racconta della sua prima uscita in team: «Dalla boscaglia ho visto che qualcuno tendeva la mano. Ho scostato il cespuglio, come se avessi aperto la porta di una casa ed ecco tutta una famiglia: la nonna con un dolore alla schiena, donne, bambini e uomini, uno con la febbre alta. Con loro possiamo trattenerci solo un momento, dare sollievo e cure. Poi si torna alla base, mentre loro rimangono lì. E questa forse è la parte più difficile».

 Una “grave crisi umanitaria” la definisce il Consiglio Italiano per i Rifugiati che si dice preoccupato per quanto accade al confine orientale europeo dove “una strumentalizzazione crudele e disumana si sta consumando sulla pelle di uomini, donne e bambini in bisogno di protezione”. Per il Cir la crisi è “frutto del ricatto del premier bielorusso Lukashenko contro le sanzioni imposte dall’Ue.  Ma una crisi anche frutto dell’incapacità dell’Unione Europea di pensare ai migranti e ai rifugiati in termini diversi da quelli di una perenne emergenza e minaccia da cui proteggersi. È questa percezione della migrazione che permette di essere ricattati per la presenza di 4mila esseri umani”. E ancora: “ Ci chiediamo quale sia la possibile sintesi tra la vita, i diritti e la dignità dei profughi e la strenua difesa – anche attraverso la costruzione di muri – dei confini – sottolinea il Cir -. Ancora una volta la protezione dei confini, anche in evidente contrasto con le normative internazionali e comunitarie, viene anteposta alla protezione delle persone. È urgente che sia concesso l’accesso, sia da parte delle autorità polacche che bielorusse, delle organizzazioni internazionale e umanitarie al confine per garantire un monitoraggio della crisi e la possibilità di portare un’assistenza umanitaria che non è più in alcun modo rinviabile. La Polonia deve, inoltre, dare piena attuazione agli obblighi di diritto comunitario e internazionale, garantendo la tutela dei diritti delle persone che sono al confine. In tal senso è centrale che la Commissione europea si opponga chiaramente alla costruzione di un muro al confine con fondi Ue per bloccare persone che intendono chiedere protezione” conclude la nota.

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I furbetti dei respingimenti?

Di grande interesse è questo capitolo di un corposo dossier dell’Ispi “La questione non si esaurisce però con le responsabilità bielorusse. In questi mesi, Varsavia ha respinto l’aiuto di Bruxelles, che aveva proposto di sostenere il paese tramite le agenzie Frontex ed Europol. La Polonia, al contrario, ha reso quel lembo di terra inaccessibile, ha ,indetto lo stato di emergenza e bloccato l’accesso a giornalisti e ong. Ed è accusata da più parti di respingimenti sommari anche ai danni di chi riesce ad attraversare il confine e che dunque – in base al diritto internazionale e al regolamento di Dublino – può chiedere asilo nel paese di ‘prima accoglienza’. In altre parole, in assenza di occhi ‘indiscreti’, il governo di Varsavia respinge anche chi non può. Per questo, malgrado le pressioni di Bruxelles – con cui peraltro i rapporti sono molto tesi sulle violazioni dello stato di diritto – il governo polacco non inoltra la richiesta necessaria a Frontex ed Europol per intervenire. Al contrario, Varsavia ha eretto lungo il confine una recinzione di filo spinato e, con la Bielorussia che si rifiuta di farli rientrare, i migranti si ritrovano bloccati nelle foreste dove la notte le temperature calano sotto lo zero. Diverse persone sono morte di ipotermia. Molti a Bruxelles e in altre capitali europee sospettano che il governo Morawiecki stia sfruttando la vicenda per fare propaganda interna. Da un lato, l’esecutivo polacco rifiuta l’aiuto comunitario per dimostrare agli occhi della propria opinione pubblica di essere capace di difendere il territorio nazionale, mentre dall’altro può proseguire ad effettuare respingimenti alla frontiera in violazione del diritto internazionale.”.

Testimoni scomodi

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Alcune persone che indossavano uniformi dell’Esercito polacco hanno attaccato tre giornalisti nei pressi del confine con la Bielorussia nel pomeriggio di ieri. Lo ha riferito l’organizzazione non profit Press Club Polska, precisando che l’episodio si sarebbe svolto intorno alle ore 16 dalle parti di Wiejki, non lontano da Michalowo, nel voivodato della Podlachia. I tre giornalisti, Maciej Moskwa, Maciej Nabrdalik e Martin Divisek, hanno riferito di aver scattato foto per documentare la presenza militare nelle vicinanze di Wiejki. A tal fine si sono avvicinati a un cancello, si sono presentati ai militari presenti come giornalisti e hanno avvertito che avrebbero scattato foto dall’esterno. Successivamente, ha affermato Press Club Polska, la loro auto è stata fermata, sono stati costretti con la forza a uscirne, sono stati ammanettati e hanno dovuto attendere oltre un’ora senza giacca l’arrivo della polizia. Gli uomini in uniforme hanno nel frattempo perquisito l’auto. All’arrivo degli agenti di polizia, i giornalisti hanno chiesto l’identificazione dei coloro che li hanno fermati ma questo non è avvenuto. 

Ciò che sta avvenendo a Est, lo sintetizza con drammatica efficacia uno dei migranti, un giovane siriano, siriano come il bimbo morto di freddo, respinto dai militari polacchi al confine: “Cerchiamo la libertà, troviamo gelo e calci in faccia”. 

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