Nagorno-Karabakh, il genocidio degli armeni con armi israeliane
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Nagorno-Karabakh, il genocidio degli armeni con armi israeliane

Israele ha silenziosamente sostenuto la campagna dell’Azerbaigian per la riconquista del Nagorno-Karabakh, fornendo armi prima della fulminea offensiva del mese scorso che ha riportato l’enclave di etnia armena sotto il controllo azero

Nagorno-Karabakh, il genocidio degli armeni con armi israeliane
Militari dell'Azerbaigian
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5 Ottobre 2023 - 19.52


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Quando si dice avere una memoria corta. O alquanto selettiva. Israele ha silenziosamente sostenuto la campagna dell’Azerbaigian per la riconquista del Nagorno-Karabakh, fornendo armi prima della fulminea offensiva del mese scorso che ha riportato l’enclave di etnia armena sotto il controllo azero. A dirlo sono alcuni funzionari ed esperti interpellati dall’Associated Press.

Poche settimane prima che l’Azerbaigian lanciasse il suo assalto di 24 ore il 19 settembre, aerei cargo militari azeri hanno ripetutamente volato tra una base aerea israeliana meridionale e un campo d’aviazione vicino al Nagorno-Karabakh, secondo i dati di tracciamento dei voli e i diplomatici armeni, anche mentre i governi occidentali sollecitavano colloqui di pace.

 Le proteste diplomatiche

I voli hanno scosso i funzionari armeni di Yerevan, da tempo diffidenti nei confronti dell’alleanza strategica tra Israele e l’Azerbaigian, e hanno messo in luce gli interessi nazionali di Israele nella regione in crisi a sud delle montagne del Caucaso.

«Per noi è una grande preoccupazione che le armi israeliane abbiano sparato contro il nostro popolo», ha dichiarato Arman Akopian, ambasciatore dell’Armenia in Israele, all’Associated Press. In una raffica di scambi diplomatici, Akopian ha detto di aver espresso nelle ultime settimane ai politici e ai legislatori israeliani l’allarme per le spedizioni di armi.

«Non vedo perché Israele non dovrebbe essere nella posizione di esprimere almeno un po’ di preoccupazione per la sorte di persone che vengono espulse dalla loro patria», ha dichiarato all’AP.I ministeri degli Esteri e della Difesa israeliani hanno rifiutato di commentare l’uso di armi israeliane nel Nagorno-Karabakh o le preoccupazioni armene sulla partnership militare con l’Azerbaigian. A luglio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha visitato Baku, la capitale dell’Azerbaigian, dove ha elogiato la cooperazione militare e la «lotta al terrorismo» congiunta dei due Paesi.

Israele ha un grande interesse per l’Azerbaigian, che serve come fonte critica di petrolio ed è uno strenuo alleato contro l’Iran, arcinemico di Israele. È anche un lucroso cliente di armi sofisticate.

Editoriale coraggioso

E’ quello di Haaretz: “Quasi tutti i residenti armeni del Nagorno-Karabakh sono diventati profughi da un giorno all’altro, in seguito alla guerra lampo dell’esercito azero che ha messo fine all’indipendenza del distretto.

Più di 100.000 vittime della pulizia etnica hanno dovuto abbandonare le città e i villaggi in cui le loro famiglie hanno vissuto per generazioni, fuggendo in Armenia oltre il confine. A più di 100 anni dall’olocausto armeno sotto l’Impero Ottomano, i membri di questa piccola nazione stanno di nuovo scappando per salvarsi la vita nel timore dell’occupazione e dell’oppressione.

Tuttavia, l’Azerbaigian non è stato solo in questa campagna. Israele ha fornito all’esercito azero le armi migliori e più avanzate che hanno permesso l’operazione di pulizia. Si tratta di missili terra-superficie, droni offensivi, razzi guidati, sistemi di difesa aerea, artiglieria, mortai, attrezzature per il potenziamento dei carri armati, fucili d’assalto, navi da guerra, missili anticarro e, ovviamente, strumenti informatici e di spionaggio.

Come riportato da Haaretz, Israele ha permesso che un ponte aereo dalla base di Uvda all’Azerbaigian trasportasse enormi quantità di armamenti e munizioni, dirette al fronte del Nagorno-Karabakh. A differenza di altri clienti dell’industria della difesa israeliana, che desiderano tenere nascoste le loro relazioni con Israele, l’autocrate dell’Azerbaigian Ilham Aliyev si è divertito a vantarsi dei suoi sistemi d’arma bianchi e blu.

Ora che i risultati dei combattimenti nel Nagorno-Karabakh sono evidenti a tutti, è opportuno chiedere ai capi delle industrie della difesa israeliane e a tutte le persone che hanno sostenuto, aiutato e permesso gli accordi miliardari con Aliyev: come vi sentite quando vedete le famiglie armene che scappano per salvarsi, il terrore negli occhi dei bambini, i nuovi campi profughi in Armenia?

Michael Federman (Elbit Systems), Yuval Steinitz (Rafael Advanced Defense Systems) e Amir Peretz (Israel Aerospace Industries) vedono la pulizia etnica e gli orribili crimini di guerra o solo i profitti delle aziende che dirigono? Provano una qualche empatia nei confronti delle vittime o sono impegnati solo a calcolare i dividendi che riceveranno i loro investitori, le royalties pagate al governo e i bonus che riceveranno? Cosa passa per la testa di Rachel Klein, la direttrice dell’Agenzia per il Controllo delle Esportazioni della Difesa, che ha guidato una “riforma” che ha allentato la regolamentazione di queste esportazioni? È contenta che tutti i moduli siano stati compilati correttamente o prova una fitta al cuore?

Aliyev non è il primo tiranno il cui esercito si affida alle armi di Israele. È stato preceduto dai capi del regime di apartheid in Sudafrica, dai generali in Argentina, da Pinochet in Cile, dal regime in Cina e dallo Scià dell’Iran. L’Azerbaigian fornisce petrolio a Israele e lo aiuta nel suo confronto con l’Iran.

Eppure, nonostante questi precedenti e le giustificazioni strategiche, la collaborazione di Israele nella pulizia etnica del Nagorno-Karabakh richiede un cambiamento nelle politiche di esportazione di Israele e la limitazione delle vendite a dittature aggressive. Israele deve anche fornire aiuti all’Armenia per aiutare il paese ad assorbire i rifugiati”.

Una intervista illuminante

La firma Paolo Rodari per Rsi: “È vero che dal punto di vista del diritto internazionale gli azeri hanno ragione perché negli anni ‘20 del Novecento Mosca decise di collocare il Nagorno-Karabakh nell’Azerbaigian nonostante la schiacciante maggioranza della popolazione fosse armena. Ma gli armeni ricevettero uno statuto di autonomia e quindi la possibilità di restare nella regione sulla quale hanno abitato da secoli. Mentre oggi, con il brutale attacco azero, questa prospettiva di ricevere una forma di autonomia non esiste più e un intero popolo è stato costretto a lasciare per sempre case, chiese, terreni, cimiteri, luoghi familiari”.

Aldo Ferrari insegna lingua e letteratura armena, storia della cultura russa e storia del Caucaso e dell’Asia centrale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fra i massimi esperti in Italia, presidente dell’Associazione per lo studio dell’Asia centrale e del Caucaso (Asiac) e coordinatore dell’Osservatorio di Politica e Relazioni Internazionali (Opri)”, parla di quanto sta avvenendo nel Nagorno-Karabakh, il piccolo territorio caucasico da sempre conteso fra armeni ed azeri.

Professore, perché l’Azerbaigian ha deciso di attaccare proprio ora?

“Perché sa di avere una posizione di forza che gli permette di farlo impunemente. Galleggia sul petrolio. Ha giacimenti di gas dai quali, fra l’altro, si serve pure l’Italia. Nessuno lo fermerà e infatti il risultato è stato che nel giro di poco tempo 120’000 armeni hanno lasciato il Nagorno-Karabakh senza mai più potervi fare ritorno”.

Sarebbe stato troppo rischioso per gli armeni restare?

“Quello che sta accadendo è una pagina storica che cambierà per sempre il destino di questo territorio. Ed è la pagina conclusiva. Quanto è stato fino ad adesso non sarà più. Gli armeni non potranno più avere uno statuto “altoatesino”, per fare un esempio. Non hanno alcun diritto, non sono una regione a statuto speciale insomma. Gli azeri hanno combattuto ed hanno vinto e gli sconfitti non possono fare altro che andarsene. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire che questo avviene perché il paese vincitore è una dittatura agli ultimi posti nelle classifiche di libertà politica e di espressione. Il ruolo internazionale di Baku deriva soltanto da una ricchezza fondata su gas e petrolio”.

Però il diritto internazionale è dalla parte azera.

“Sì, certo, ma il diritto internazionale prevede anche l’autodeterminazione dei popoli. E adesso gli armeni del Nagorno-Karabakh sono un popolo in fuga, terrorizzato e privato di tutto, che non vedrà mai più le sue terre. E questo avviene senza che nessun paese della comunità internazionale dica nulla. Dieci mesi fa, quando gli azeri hanno iniziato a lasciare gli armeni senza cibo e medicinali per mezzo di un blocco del tutto illegale e disumano si era ancora in tempo per intervenire, ma nel mondo l’unica risposta è stata il silenzio a parte qualche sparuta protesta di singole personalità”.

Perché questo disinteresse?

“La risposta è che a molti paesi – e fra questi metto anche l’Italia – va bene così. Ma dobbiamo notare i due pesi e le due misure rispetto a quanto sta avvenendo in Ucraina. Giustamente per l’Ucraina certe cose vengono dette e certe azioni fatte, qui invece no. Il che dimostra che spesso la difesa dei diritti umani e del diritto internazionale è messa in campo dove vi è un interesse politico forte da parte di alcuni Stati. In ogni caso credo che da oggi abbia da temere molto anche la stessa Repubblica di Armenia perché l’Azerbaigian, appoggiato dalla Turchia, ha pretese anche sul suo stesso territorio. Insomma, tutto può accadere”.

L’Armenia non è protetta dalla Russia?

“Lo era. Ma da quando il governo armeno ha avuto una virata filo-occidentale a partire dal 2018 è divenuto sgradito a Mosca”.

Perché questa virata?

“Perché si commettono errori e l’Armenia in questo caso ha sbagliato nel voler guardare verso Occidente mentre solo il forte rapporto con la Russia la proteggeva davvero. Però un grande Paese che commette degli errori anche gravi ha modo di recuperare, mentre se sbaglia un paese piccolo come l’Armenia questo può anche non essere possibile”.

L’Italia potrebbe fare di più?

“Si, perché afferma d’essere un Paese democratico e che difende la democrazia, ma non fa né dice nulla perché importa dall’Azerbaigian gas e petrolio. A quanto pare questo sembra far passare in secondo piano ogni considerazione di altro genere”.

Sappiamo che la Turchia è alleata con l’Azerbaigian. Ma gli Stati Uniti non potrebbero intervenire?

“Qualche parlamentare americano ha protestato pubblicamente, ma nessuno si è mosso davvero a livello governativo. Negli Stati Uniti come nel resto del mondo ci sarebbe bisogno di una reazione politica rapida ed efficace di fronte alla brutale aggressione dell’Azerbaigian, ma nulla di tutto questo sembra stia avvenendo. Credo che questo sia una tragedia e una vergogna al tempo stesso”.

Una tragedia e una vergogna. Ha ragione il professor  Ferrari. Una vergogna che ha molti padri. Anche in chi dovrebbe avere memoria di cosa significhi essere vittime di un genocidio.

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