Quando giocava a hockey al liceo, Adam Drexler indossava con orgoglio la maglia dei Massapequa Chiefs.
Ma crescendo e approfondendo le sue radici indigene, il membro della Nazione Chickasaw ha iniziato a vedere il logo della scuola — un uomo nativo americano stereotipato con un copricapo di piume — come un simbolo sbagliato.
Oggi la sua città natale, sulla costa di Long Island, è diventata l’ultimo epicentro del dibattito sull’uso dell’immaginario indigeno nello sport statunitense: l’amministrazione Trump ha avviato venerdì un’indagine per verificare se le autorità di New York stiano discriminando il distretto scolastico di Massapequa minacciando di tagliare i finanziamenti pubblici. La città, infatti, si rifiuta di rispettare un ordine statale che impone l’abbandono di nomi e mascotte sportive con riferimenti ai nativi americani.
«Nessuna tribù a est del Mississippi ha mai indossato un copricapo del genere — mai», ha dichiarato Drexler, 60 anni, adottato e cresciuto da una famiglia ebrea bianca. «Come si può sostenere un simbolo che non ha alcun significato o rilevanza per questa zona, e al tempo stesso affermare di voler onorare la cultura e la storia delle popolazioni da cui la città prende il nome?»
A Massapequa, a circa 65 km da Manhattan, dove il 90% dei residenti è bianco, l’iconografia indigena è ovunque. Il logo dei Chiefs campeggia su edifici scolastici, caserme dei vigili del fuoco e stazioni di polizia. Alcuni studenti hanno persino dipinto un murale con il logo su un edificio commerciale accanto al liceo, in segno di protesta contro il cambiamento della mascotte.
Poco distante, vicino all’ufficio postale, si erge una statua raffigurante un nativo con un copricapo piumato accanto a un bisonte, un cavallo e un totem.
«Quando pensi a Massapequa, pensi ai Chiefs», ha detto Forrest Bennett, studente del secondo anno di liceo, 15 anni.
Una città in conflitto con le politiche statali
Lo stato di New York cerca da oltre vent’anni di eliminare le mascotte indigene dalle scuole, sin dai tempi del governatore repubblicano George Pataki. Nel 2022 ha imposto ai distretti scolastici una scadenza entro la fine dell’anno scolastico per sostituire simboli e nomi considerati offensivi.
Massapequa è uno dei quattro distretti scolastici di Long Island che hanno presentato una causa federale contro il divieto, sostenendo che la scelta del nome e della mascotte fosse tutelata dal Primo Emendamento. Tuttavia, il giudice ha respinto il ricorso il mese scorso.
I distretti potevano ottenere un’esenzione se ricevevano l’approvazione da una tribù riconosciuta, ma secondo le autorità statali Massapequa «è rimasta in silenzio» per anni.
Un portavoce del consiglio scolastico ha annunciato mercoledì l’intenzione di presentare appello contro la sentenza e ha accolto con favore l’indagine avviata dal Dipartimento dell’Educazione, che Trump ha recentemente cercato di smantellare.
Trump, che ha visitato Long Island più volte negli ultimi anni, anche per partecipare al funerale di un agente di polizia di New York, ha definito «ridicolo» l’obbligo di cambiare nome. In un post sui social media ha scritto: «Obbligarli a cambiare nome, dopo tutti questi anni, è assurdo e, in realtà, un’offesa alla nostra grande popolazione indiana». Pochi giorni dopo, ha posato nello Studio Ovale indossando una felpa dei Massapequa Chiefs. «Non mi pare che i Kansas City Chiefs abbiano intenzione di cambiare nome!»
La squadra NFL dei Chiefs, infatti, ha mantenuto il proprio nome nonostante le proteste. Cinque anni fa, però, ha vietato ai tifosi di indossare copricapi o pitture facciali ispirati alla cultura nativa. Altre squadre professionistiche, come i Washington Redskins (oggi Commanders) e i Cleveland Indians (ora Guardians), hanno invece cambiato nome e logo.
Residenti: “La mascotte è un omaggio ai nativi”
Tra i negozi e i ristoranti vicino al liceo di Massapequa, studenti e genitori insistono che il nome e la mascotte della squadra sono un omaggio al popolo Massapequa, parte della più ampia nazione Lenape o Delaware, che per millenni ha abitato i boschi del Nord-Est degli Stati Uniti e del Canada, prima di essere decimata dalla colonizzazione europea.
«Non vogliamo mancare di rispetto a nessuno», ha detto Christina Zabbatino, madre di due figli. «Anzi, se fosse il mio volto, ne sarei onorata, capite cosa intendo?»
Lucas Rumberg, uno studente quindicenne, riconosce che il logo raffigura abiti più vicini alle tradizioni delle tribù delle Grandi Pianure piuttosto che ai Lenape, che furono spinti sempre più a ovest dai coloni e poi dal governo americano. Tuttavia, secondo lui, «anche se non rappresenta esattamente ciò che erano, trasmette comunque rispetto verso i nativi. Capisco che qualcuno possa offendersi, ma è un simbolo che esiste da così tanto tempo che dovrebbe restare».
Nativi americani: “È disumanizzante”
Ma è proprio questo atteggiamento che rende questi simboli offensivi, secondo Joseph Pierce, direttore degli studi indigeni all’Università di Stony Brook e cittadino della Nazione Cherokee.
«È come se quell’immagine rappresentasse in modo generico “tutti gli indiani”», ha detto. «E questo ci riduce a uno stereotipo, invece di riconoscerci come popoli distinti.»
Secondo Joey Fambrini, membro della Tribù Delaware e operatore del New York Indian Council, una ONG che fornisce assistenza sanitaria alle comunità native, questi simboli perpetuano l’idea che i popoli indigeni appartengano al passato, ignorando i problemi reali e urgenti che affrontano oggi.
«Questa disumanizzazione non è innocua: contribuisce direttamente al fatto che le nostre lotte vengano ignorate o minimizzate», ha detto Fambrini, 29 anni, residente a Brooklyn. Le comunità tribali, ha aggiunto, soffrono di alti tassi di povertà, abitazioni inadeguate, scarsità di acqua potabile e accesso limitato all’istruzione.
La mascotte allegra e colorata, secondo John Kane, membro della tribù Mohawk, nasconde anche il passato violento di Massapequa, dove nel Seicento si consumò un massacro in cui decine di uomini, donne e bambini nativi furono uccisi dai coloni europei.
«Non stanno cercando di onorarci. È per questo che la correttezza storica del logo non conta per loro», ha detto Kane. «L’idea che questo sia un omaggio? Suvvia. È semplicemente assurdo anche solo pensarlo.»