“È giunto il momento della sovranità, il momento di applicare la sovranità”. Con queste parole, il ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin ha invocato pubblicamente l’annessione della Cisgiordania, rilanciando uno dei temi più controversi della politica israeliana.
Durante un incontro con Yossi Dagan, capo del Consiglio regionale di Samaria – uno degli organismi che rappresentano gli insediamenti israeliani nei territori occupati – Levin ha definito l’attuale fase storica come una finestra irripetibile: “Penso che questo periodo sia un momento di opportunità storica che non dobbiamo perdere”. Un’occasione che, a suo dire, dovrebbe spingere il governo ad agire senza indugi.
Levin ha parlato con tono risoluto, sottolineando che la sua posizione su questo punto “è ferma, è chiara”. E ha aggiunto: “La questione deve essere in cima alla lista delle priorità”.
Le sue dichiarazioni arrivano in un momento delicatissimo, mentre il governo Netanyahu è sottoposto a forti pressioni internazionali per porre fine al conflitto a Gaza e affronta crescenti tensioni anche in Cisgiordania, dove l’espansione degli insediamenti continua a provocare scontri e proteste.
Ma per Levin, da sempre figura di spicco della destra israeliana e architetto della controversa riforma giudiziaria, il tempo per i tentennamenti è finito. Il suo appello all’annessione non è nuovo, ma oggi suona come un ultimatum politico: se non ora, quando?
L’annessione della Cisgiordania – che la comunità internazionale considera territorio occupato – segnerebbe un cambiamento radicale nel conflitto israelo-palestinese. Per i sostenitori come Levin, significherebbe “riprendere il controllo della storia”. Per i critici, l’ennesimo passo verso l’abbandono definitivo della soluzione a due Stati.
Nel silenzio (al momento) del premier Netanyahu, le parole di Levin aprono uno squarcio chiaro su ciò che potrebbe essere il prossimo obiettivo del governo israeliano. Con o senza consenso internazionale.