Repressione maccartista trumpiana: Berkeley consegna i nomi di 160 docenti e studenti accusati di antisemitismo

Tra i destinatari c’è Judith Butler, filosofa femminista e teorica queer di fama internazionale, che ha ricevuto una comunicazione dal capo dell’ufficio legale del campus, David Robinson. Butler è ebrea

Repressione maccartista trumpiana: Berkeley consegna i nomi di 160 docenti e studenti accusati di antisemitismo
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13 Settembre 2025 - 11.43


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L’Università della California, Berkeley ha consegnato all’amministrazione Trump i nomi di 160 docenti e studenti nell’ambito di un’indagine su “presunti episodi di antisemitismo”. Una decisione che una delle persone coinvolte ha paragonato a “pratiche dell’era McCarthy”.

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L’ateneo, uno dei più prestigiosi degli Stati Uniti, ha inviato la scorsa settimana una lettera ai membri interessati per informarli che i legali dell’università avevano incluso i loro nomi nei documenti trasmessi all’Ufficio per i diritti civili (OCR) del Dipartimento dell’Istruzione. Questo ufficio, sotto la guida di Donald Trump, ha intensificato le pressioni sui campus di tutto il Paese, prendendo di mira il movimento pro-palestinese, gli studenti internazionali e la libertà accademica.

Tra i destinatari c’è Judith Butler, filosofa femminista e teorica queer di fama internazionale, che ha ricevuto una comunicazione dal capo dell’ufficio legale del campus, David Robinson. La lettera parlava di un’indagine su “accuse di molestie e discriminazioni antisemite” e della “richiesta di fornire documentazione completa”.

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Butler, ebrea e critica delle politiche israeliane, ha riferito di non aver ricevuto spiegazioni sulle accuse:
«Abbiamo diritto a sapere quali sono le contestazioni, chi le ha mosse e di che natura siano, in modo da potere rispondere e difenderci. Ma nulla di tutto questo è avvenuto. Siamo in un mondo kafkiano … È una grave violazione della fiducia».

La studiosa ha ricordato che Berkeley fu culla del movimento per la libertà di parola negli anni ’60: «Siamo sempre stati un luogo in cui discutere apertamente temi controversi. Le opinioni su Israele e Palestina sono diverse, ma devono poter essere espresse, anche se provocano disagio. È lo spirito che ho difeso per 30 anni. Questa scelta è dolorosa e vergognosa».

Fonti ufficiali hanno confermato che 160 persone, tra docenti, studenti e personale, hanno ricevuto avvisi riguardo alla trasmissione dei loro nomi, precisando che la decisione era stata presa dall’ufficio legale centrale dell’intero sistema universitario della California.

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Butler ha espresso preoccupazione per le conseguenze, in particolare sugli studenti internazionali e sul personale precario: «Molti rischiano di subire conseguenze gravissime, dalle espulsioni alle deportazioni, fino alla perdita del lavoro e a forme di sorveglianza».

Secondo la filosofa, le normali procedure interne per la gestione delle denunce sarebbero state sospese, togliendo ai docenti la possibilità di rispondere alle accuse o anche solo di conoscerne i contenuti: «Non sappiamo nemmeno se siamo stati formalmente accusati di antisemitismo o se il nostro nome sia stato semplicemente associato a una segnalazione».

I legali del campus si sono rifiutati di mostrare a Butler i documenti trasmessi al governo. La studiosa ha denunciato così il rischio di violazioni dei diritti fondamentali, compreso quello sancito dal sesto emendamento, che garantisce la possibilità di conoscere le accuse mosse contro di sé.

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L’università ha replicato, attraverso una portavoce, che le istituzioni pubbliche come la UC sono soggette a controlli statali e federali e devono adempiere alle richieste di documentazione, pur cercando di tutelare al massimo la privacy di studenti e docenti.

Butler ha però criticato la scelta di non opporsi alle richieste federali, ricordando che altri atenei hanno rifiutato di assecondare pressioni simili: «È scioccante. Vi siete almeno chiesti se fosse possibile non obbedire a questa richiesta?».

La filosofa ha paragonato l’episodio a una “pratica ben nota dell’epoca McCarthy”, avvertendo dei rischi:
«Saremo ora marchiati su una lista del governo? Ci verranno imposti limiti nei viaggi? Le nostre comunicazioni saranno sorvegliate? È il momento di resistere a un’ingiustizia che rischia di diventare normalizzata».

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Secondo Butler e altri accademici, la decisione di trasmettere i nomi costituisce una minaccia per la libertà di ricerca e di espressione, oltre che per i principi democratici che dovrebbero reggere le università.


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