Il linguaggio di Trump sul piano per Gaza: esalta se stesso cancellando storia, popoli e vittime

C’è un’idea di pax trumpiana in queste parole. Ma Trump è stato accorto a far sentire tutti a bordo della storia: ha lodato tutti, a partire ovviamente dal saudita bin Salman, passando all’emiratino bin Zayed, all’israeliano Netanyahu e anche, con pari attenzione, il turco Erdogan

Il linguaggio di Trump sul piano per Gaza: esalta se stesso cancellando storia, popoli e vittime
Donald Trump
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

30 Settembre 2025 - 17.49


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“Un piano di sviluppo economico di Trump per ricostruire e rilanciare Gaza sarà elaborato convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti città moderne del Medio Oriente. Molte proposte di investimento ponderate e idee di sviluppo entusiasmanti sono state elaborate da gruppi internazionali ben intenzionati e saranno prese in considerazione per sintetizzare i quadri di sicurezza e governance al fine di attrarre e facilitare questi investimenti che creeranno posti di lavoro, opportunità e speranza per il futuro di Gaza”.

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E’ il punto 10 della proposta presentata dagli Stati Uniti a israeliani e leader arabi per porre termine al conflitto di Gaza. E’ interessante notare che non si dice che la Casa Bianca o il Presidente degli Stati Uniti presenteranno un piano di sviluppo economico per ricostruire e rilanciare Gaza, ma che lo farà Donald Trump. Con chi? 

Il linguaggio è parte rilevante dell’evento e questo punto dice molto. Interessante è anche il linguaggio del punto 18: “ Verrà avviato un processo di dialogo interreligioso basato sui valori della tolleranza e della convivenza pacifica, con l’obiettivo di cercare di cambiare la mentalità e la narrativa dei palestinesi e degli israeliani, sottolineando i benefici che possono derivare dalla pace”. Sarebbe un aspetto decisivo, ma appare un po’ vago in un contesto dove si è sentito tutto ciò che abbiamo sentito riferire a Dio. E chi lo promuoverà questo dialogo? Come? Dove?   

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Ma vorrei restare al linguaggio,  visto che Trump ha detto che finalmente è a portata di mano un accordo che porrà fine a 2/3mila anni di conflitto. C’è un’idea di pax trumpiana in queste parole. Ma Trump è stato accorto a far sentire tutti a bordo della storia: ha lodato tutti, a partire ovviamente dal saudita bin Salman, passando all’emiratino bin Zayed, all’israeliano Netanyahu e anche, con pari attenzione, il turco Erdogan. Leader elogiati, non senza cominciare da se stesso, un autoelogio che è giunto a presentarsi come colui che ha dovuto accettare le pressanti richieste giunte un po’ da ogni dove affinché presiedesse in prima persona l’autorità transitoria che sovrintenderà alla prima fase del dopo-guerra. Come non lo ha detto, se non che i palestinesi presenti saranno apolitici (fino quando l’autorità provvisoria non passerà i poteri alla riformata autorità palestinese).   

Non si tratta di dire che tutto questo sia sbagliato, è che davanti alla storia i popoli sembrano assenti, sono loro, i leader, con un subitaneo “nuovo inizio”, espressione che ovviamente Trump non ha mai usato a porre termine a 2/3mila anni di tenebrose guerre: il nuovo inizio di Trump non ha passato, non ha storia, non ha radici nel passato, nelle scelte, nei cambiamenti, nelle sofferenze, nei processi.  

Come molti ricorderanno Bill Clinton non rimosse il passato, i drammi e i passi precedenti, quando con Rabin, Peres e Arafat firmò alla Casa Bianca i famosi accordi di Oslo. Il suo discorso già nei primi passi rendeva omaggio ad altri: “Come tutti sappiamo, la devozione a quella terra è stata anche fonte di conflitti e spargimenti di sangue per troppo tempo. Nel corso di questo secolo, l’astio tra il popolo palestinese e quello ebraico ha privato l’intera regione delle sue risorse, del suo potenziale e di troppi dei suoi figli e delle sue figlie. La terra è stata così martoriata dalla guerra e dall’odio che le rivendicazioni contrastanti della storia si sono incise così profondamente nell’animo dei combattenti che molti credevano che il passato avrebbe sempre avuto il sopravvento. Poi, 14 anni fa, il passato ha cominciato a cedere il passo quando in questo luogo e su questo tavolo tre uomini di grande lungimiranza hanno firmato gli Accordi di Camp David. Oggi onoriamo la memoria di Menachem Begin e Anwar Sadat e rendiamo omaggio alla saggia leadership del presidente Jimmy Carter”. 

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Ricordando la storia Clinton non ha inteso sminuire se stesso, ma ricordare le vittime  e chi ha combattuto dentro e con se stesso per cercare nuovi inizi. E infatti aggiunse: “ Da quando Harry Truman riconobbe per la prima volta Israele, ogni presidente americano, democratico e repubblicano, ha lavorato per la pace tra Israele e i suoi vicini. Ora gli sforzi di tutti coloro che hanno lavorato prima di noi ci portano a questo momento, un momento in cui osiamo promettere ciò che per così tanto tempo è sembrato difficile persino immaginare: che la sicurezza del popolo israeliano sarà conciliata con le speranze del popolo palestinese e che ci sarà più sicurezza e più speranza per tutti”.

Nel discorso di Trump tutto questo non c’è, non è stato citato. La storia ricomincia o forse comincia con lui, scintillante rispetto a quella buia E’ questo che sorprende, è anche la storia americana, piaccia o meno, che Trump non ha citato in un discorso tutto centrato su di sé e i suoi interlocutori. La pax trumpiana è Trump. 

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