Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato apertamente, al termine dei colloqui con Donald Trump alla Casa Bianca, di non aver accettato l’ipotesi di uno Stato palestinese. Una posizione che conferma la linea dura del leader israeliano, nonostante il piano americano preveda un possibile percorso verso l’autodeterminazione palestinese.
Nello stesso intervento, Netanyahu ha ribadito che l’esercito israeliano “resterà nella maggior parte di Gaza”, sottolineando che eventuali ritiri saranno soltanto parziali e graduali.
La questione del ritiro
Fin dall’inizio del conflitto Hamas ha posto come condizione la completa uscita delle forze israeliane dalla Striscia in cambio della liberazione degli ostaggi. Pur avendo mostrato disponibilità a cedere il controllo politico del territorio, il movimento islamista ha tracciato una linea invalicabile sulla consegna delle armi.
La prima bozza del piano statunitense era considerata vaga, limitandosi a parlare di un ritiro “sulle linee di battaglia” esistenti quando l’inviato americano Steve Witkoff aveva presentato la sua proposta. Lunedì, invece, la Casa Bianca ha diffuso una versione aggiornata, corredata da una mappa che illustra tre fasi di ritiro.
Secondo tale schema, anche dopo il primo arretramento necessario alla liberazione degli ostaggi, Israele manterrebbe la sua presenza nella maggior parte della Striscia. Solo quando una Forza Internazionale di Stabilizzazione composta da Paesi arabi e musulmani sarà pienamente operativa, l’IDF potrà ritirarsi ulteriormente. Dopo la seconda fase, Israele manterrebbe comunque postazioni su oltre un terzo del territorio.
Il ritiro completo sarebbe previsto soltanto nella terza fase, con la creazione di una zona cuscinetto lungo l’intero perimetro di Gaza, misura richiesta da Israele per prevenire nuove offensive sul modello dell’attacco del 7 ottobre.
Una sicurezza indefinita
Il testo aggiornato del piano precisa inoltre che il ritiro israeliano sarà vincolato a “standard, traguardi e tempistiche” legati alla smilitarizzazione, concordati con la forza internazionale, i garanti e gli Stati Uniti. Israele conserverà comunque una “presenza di sicurezza perimetrale” fino a quando Gaza non sarà ritenuta del tutto al sicuro da minacce terroristiche.
Una prospettiva che lascia aperte molte incognite sul futuro del territorio e che, unita al rifiuto di Netanyahu di riconoscere uno Stato palestinese, rischia di complicare ulteriormente l’eventuale via d’uscita dal conflitto.