In un contesto di fragile tregua dopo due anni di conflitto devastante, Hamas ha lanciato una massiccia mobilitazione delle sue forze di sicurezza per riprendere il controllo del territorio palestinese, riempiendo il vuoto lasciato dalle truppe israeliane.
Circa 7.000 membri sono stati richiamati in servizio con chiamate telefoniche e messaggi di testo, con l’ordine esplicito di “ripulire Gaza da fuorilegge e collaborazionisti israeliani”. L’operazione, che ha visto lo spiegamento di unità armate in diversi quartieri della Striscia, è culminata in scontri violenti con il potente clan Dughmush, alimentando paure di un’escalation interna che potrebbe sfociare in una guerra civile.
L’episodio scatenante è avvenuto nel quartiere Sabra di Gaza City, dove due membri delle forze d’élite di Hamas – tra cui il figlio di Imad Aqel, alto comandante dell’ala militare del gruppo e capo dell’intelligence – sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco da pistoleri del clan Dughmush. I corpi sono stati lasciati in strada, un affronto che ha provocato una reazione immediata: Hamas ha circondato un’ampia area dove si presume siano asserragliati oltre 300 armati del clan, equipaggiati con mitragliatrici e ordigni improvvisati. Nella mattinata successiva, le forze di Hamas hanno eliminato un membro del clan e ne hanno rapiti altri 30, intensificando le tensioni in una zona già satura di armi depredate dai depositi del gruppo durante la guerra.
Parallelamente, Hamas ha nominato cinque nuovi governatori per la Striscia, tutti con un background militare e alcuni ex comandanti delle brigate Izz ad-Din al-Qassam, l’ala armata dell’organizzazione. Le unità dispiegate – alcune in abiti civili, altre nelle divise blu della polizia di Gaza – pattugliano i distretti recentemente evacuati dalle truppe israeliane, in un tentativo evidente di riaffermare l’autorità su un territorio frammentato e allo stremo.
Queste mosse avvengono a pochi giorni dalla tregua siglata all’inizio della settimana, in un panorama segnato da un proliferare incontrollato di armi: migliaia di fucili e munizioni rubati dai magazzini di Hamas durante il conflitto, con voci di forniture persino da parte israeliana a certi gruppi. Un ex ufficiale di sicurezza dell’Autorità Palestinese, contattato dalla BBC, ha dipinto un quadro allarmante: “Gaza è sommersa di armi. I saccheggiatori hanno rubato migliaia di armi e proiettili dai depositi di Hamas durante la guerra, e alcuni gruppi hanno persino ricevuto rifornimenti da Israele. Questa è la ricetta perfetta per una guerra civile: armi, frustrazione, caos e un movimento disperato di riaffermare il controllo su una popolazione distrutta e esausta”.
L’ufficiale ha aggiunto: “Hamas non è cambiato. Crede ancora che armi e violenza siano l’unico mezzo per tenere in vita il suo movimento”.
Un funzionario di Hamas all’estero ha difeso l’operazione in un’intervista alla BBC: “Non possiamo lasciare Gaza alla mercé di ladri e milizie sostenute dall’occupazione israeliana. Le nostre armi sono legittime… per resistere all’occupazione, e rimarranno tali finché l’occupazione continuerà”. Ma queste parole suonano come un monito: nonostante le pressioni internazionali, inclusa la fase due del piano di pace del presidente USA Donald Trump che prevede lo smantellamento delle milizie, Hamas sembra riluttante a cedere il terreno, ostacolando potenzialmente l’accordo e prolungando l’agonia della popolazione.
Khalil Abu Shammala, esperto di diritti umani residente a Gaza, ha espresso le preoccupazioni condivise dai gazawi: “C’è senza dubbio una paura diffusa tra molti gazawi di un potenziale conflitto interno, date le tante condizioni che potrebbero alimentarlo”. Ha proseguito: “Credo che i suoi tentativi continui di mantenere l’influenza con qualsiasi mezzo, inclusa l’implicazione negli affari di sicurezza, potrebbero alla fine mettere a rischio l’accordo e precipitare i residenti di Gaza in una sofferenza ancora maggiore”. Hamas, costretto ad accettare il piano di pace sotto forti pressioni, appare ora determinata a preservare il suo ruolo, anche a costo di ulteriori violenze.
Le implicazioni sono gravi: mentre la comunità internazionale spinge per una stabilizzazione post-bellica, questi sviluppi rischiano di complicare l’attuazione del piano Trump, lasciando Gaza in balia di fazioni armate e di un ciclo di vendette. I residenti, esausti da anni di bombardamenti e privazioni, temono che la “pulizia” di Hamas non porti pace, ma solo nuovo sangue versato tra palestinesi. In un territorio dove la governance è un miraggio, la mobilitazione di Hamas non è solo una mossa tattica, ma un segnale di quanto sia fragile l’equilibrio tra resistenza e autodistruzione. Solo un impegno collettivo per il disarmo e la ricostruzione potrà spezzare questa spirale, prima che Gaza diventi teatro di una tragedia interna.