“È auspicabile ma ci vorrà tempo per un cambio di leadership. È necessario per avere delle prospettive nuove nel futuro, abbiamo bisogno di nuovi volti, ma non sarà così immediato, bisogna prepararli”.
Con queste parole il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha rilanciato la necessità di un rinnovamento profondo, politico e religioso, tanto in Israele quanto in Palestina.
Parlando a margine del Premio “Achille Silvestrini”, assegnato a padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia di Gaza, il cardinale ha spiegato che il cambiamento non potrà essere rapido: “Ci vorrà molto tempo perché le ferite sono profonde. Non dobbiamo farci illusioni che arriverà presto, ma dobbiamo creare poco alla volta le premesse, con nuovi volti e una cultura di rispetto”.
“Abu Mazen interlocutore legittimo, ma serve guardare avanti”
Pizzaballa ha sottolineato che, sul versante palestinese, “l’interlocutore legittimo è Abu Mazen, nel senso che rappresenta legalmente il popolo palestinese. Ma anche qui, lo ripeto, è necessario guardare al futuro, anche per motivi anagrafici”.
Il riferimento è alla necessità di formare una nuova generazione di leader capaci di raccogliere le aspirazioni di un popolo provato da anni di guerra, isolamento e divisione interna.
La tregua fragile e la devastazione di Gaza
Il patriarca ha poi descritto una realtà ancora segnata dalla distruzione: “La gente sta tornando, ma sta tornando sulle macerie. Gli ospedali non funzionano, le scuole non ci sono”.
Ha parlato di una tregua “fragile”, che però deve essere sostenuta per evitare un nuovo ciclo di violenze: “Va consolidata e accompagnata, perché non resti solo una parentesi”.
Il cardinale ha ricordato anche le difficoltà nel recupero delle salme degli ostaggi uccisi: “Non è semplice perché, nel caos di quei giorni, spesso si è persa la localizzazione di queste salme. Speriamo che la Croce Rossa e gli organismi competenti possano intervenire presto”.
“Israele si percepisce come unica vittima”
Nell’analizzare il contesto israeliano, Pizzaballa ha osservato come nel Paese prevalga ancora una visione chiusa in se stessa: “Israele si percepisce come unica vittima, e questo impedisce di avere una visione lucida e libera del futuro. Non tutto è bianco o nero, ma questa guerra ha acuito la diffidenza e l’odio reciproco”.
Ha poi ribadito che “la fine della guerra non segna necessariamente l’inizio della pace”: le conseguenze del conflitto, ha detto, “le pagheremo per molto tempo. Ferite, sfiducia, rancore e odio resteranno a lungo. Dobbiamo ricominciare a parlare di fiducia, di ascolto, di umanità”.
“Nuovi leader, linguaggio diverso”
“Abbiamo bisogno di nuovi leader che parlino un linguaggio diverso da quello che abbiamo sentito in questi anni”, ha aggiunto Pizzaballa, riferendosi sia alla leadership politica che a quella religiosa. “Serve un linguaggio di riconciliazione, di rispetto, di costruzione. La pace non si costruisce solo con gli accordi politici, ma con una cultura di accoglienza e di memoria condivisa.”
Critica alla “Flotilla” per Gaza
Il patriarca ha espresso perplessità anche verso iniziative simboliche come la “Flotilla” di aiuti verso Gaza: “Non porta nulla alla gente di Gaza. È un confronto troppo diretto e simbolico. Bisogna concentrarsi su ciò che accade davvero sul terreno e sostenere concretamente la popolazione”.
“Non desistere”
Pizzaballa ha concluso il suo intervento con un appello alla perseveranza: “Il cambio di leadership è necessario, ma richiede preparazione e tempo. La pace non arriverà domani, ma ogni giorno possiamo costruirne un piccolo pezzo. Non dobbiamo desistere”.