Gaza e l'assedio di Alesia del 52 avanti Cristo: a volte la storia sembra ripetersi
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Gaza e l'assedio di Alesia del 52 avanti Cristo: a volte la storia sembra ripetersi

Nel 52 a.C. si combatté nel cuore dell’Europa uno degli innumerevoli scontri: la battaglia di Alesia. Avvenne nella terra dei Mandubi, popolazione della Gallia celtica, tra l’esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare

Gaza e l'assedio di Alesia del 52 avanti Cristo: a volte la storia sembra ripetersi
Vercingetorige e Giulio Cesare
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

14 Ottobre 2023 - 10.55


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Nel 52 a.C. si combatté nel cuore dell’Europa uno degli innumerevoli scontri che hanno insanguinato le sue terre: la battaglia di Alesia. Avvenne nella terra dei Mandubi, popolazione della Gallia celtica, tra l’esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare e le tribù galliche con a capo Vercingetorige.

Nel tentativo di cacciare definitivamente l’invasore romano, le tribù galliche riunite in concilio avevano eletto appunto Vercingetorige comandante degli eserciti gallici uniti. Da anni Roma cercava di conquistare e annettere nuovi territori alla provincia della Gallia Narbonense; Cesare guerreggiava in quelle terre lontane da sei anni: vi era giunto nel 58 a.C., dopo il consolato, poiché era consuetudine che il Senato nominasse i consoli – gli ufficiali di grado più elevato – alla fine del loro mandato, governatori delle province. Il proconsole romano aveva scommesso tutto il suo futuro e il suo prestigio sulla conquista della Gallia, ed una ad una aveva sconfitto le tante popolazioni che si frapponevano sul suo cammino. Aveva varcato il Reno per due volte, ed era stato il primo a condurre spedizioni oltre Manica contro i Britanni.

In quel 52 a.C., però, i Galli si erano coalizzati per porre fine al dominio romano. Dopo cruenti scontri, Vercingetorige decise di rifugiarsi nella rocca di Alesia, e lì di resistere a oltranza in attesa di rinforzi. Iniziò così un micidiale assedio. Alesia sorgeva su una posizione fortificata, in cima ad una collina dalle spiccate caratteristiche difensive. Cesare comprese che un attacco frontale era da escludersi e decise l’assedio, per costringere i Galli alla resa per inedia. In quella roccaforte erano asserragliati ottantamila soldati, ma anche la popolazione civile locale dei Mandubi: era solo questione di tempo, la fame e gli stenti li avrebbero condotti alla morte o costretti alla resa. 

Le condizioni di vita dentro Alesia cominciarono presto a farsi insostenibili per gli assediati. Vercingetorige e il suo consiglio stabilirono che gli inabili alla guerra uscissero dalla città: sperava di salvare la vita a donne, bambini, vecchi e malati del popolo dei Mandubi, forse Cesare li avrebbe accolti e lasciati liberi. Così non andò: morirono tutti di fame tra le mura della città di Alesia e le linee fortificate romane, nella “terra di nessuno”. Cesare vietò che fossero accolti, restando insensibile a preghiere e pianti.

Intanto giunse l’esercito gallico di soccorso, ma dopo giorni di battaglie, e tre sanguinosissimi assalti, non riuscì a superare le fortificazioni romane: vittime si aggiunsero a vittime. Vercingetorige si consegnò a Cesare, sconfitto. Sarebbe finito strangolato, dopo essere stato esibito a Roma nella sfilata trionfale del suo vincitore, com’era tradizione per i comandanti nemici catturati.

Tempi primitivi, si dirà. Per fortuna, quelle epoche remote sono solo un ricordo, e la battaglia di Alesia è annoverata come un fulgido esempio di strategia, da studiare nelle scuole militari o da tradurre dal De bello gallico durante la lezione di latino al liceo. Ma la storia, lo sappiamo, è destinata a ripetersi: altro che historia magistra vitae. La ferocia, l’intolleranza, la reciproca crudeltà sono impresse a fuoco nel DNA dell’uomo, e gli avvenimenti di questi ultimi giorni, tra Israele e Palestina, ne sono l’ennesima brutale conferma. Ancora una volta, dopo secoli, stiamo assistendo a un assedio a danno di innocenti civili, costretti a pagare per azioni, certo efferate, compiute da altri, con chissà quali regie.

Ancora una volta si tagliano viveri, e quanto è necessario alla sopravvivenza: acqua, energia elettrica, gas. Negli ospedali le incubatrici si spengono e i neonati muoiono, le case sono gusci destinati a implodere; agli abitanti di Gaza è offerta solo una miserrima possibilità di fuga, un’evacuazione che li trasformerà in profughi, deportati, senza più nulla di proprio se non un odio ancor più veemente nel cuore. E come sempre, a fare le spese dell’incapacità di trovare una via di pace, una soluzione di convivenza, un’alternativa alla bestialità e al disprezzo, sono vittime inermi, tanto israeliane quanto palestinesi. La follia della guerra è la stessa di duemila anni fa, le tattiche di sterminio le medesime. Ma se ai tempi di Cesare un esercito di conquista invadeva intere regioni per assoggettarle, e la vita umana non aveva valore se non come mercanzia da schiavizzare, oggi tutto questo avviene fra popolazioni che dividono una stessa terra, in un’epoca che si definisce civile, che si appella al diritto e alla democrazia, che inorridisce, con ipocritissime parole, di fronte ai soprusi e ai genocidi. Ma se la storia non ha nulla da insegnarci, quale sarà il destino dell’uomo? 

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